Note di regia
“La verità è che non esiste una verità”
(Pablo Neruda)
Con la messa in scena di ‘A birritta cu ‘i ciancianeddi (in italiano Il berretto a sonagli), omaggiamo i 100 anni dalla nascita di un grande conterraneo di Pirandello: Andrea Camilleri, scrittore, drammaturgo e regista, famoso in tutto il mondo grazie al suo Montalbano.
Sulla Scalinata del Castello abbiamo messo in scena una Pirandelliana (che ha visto la partecipazione di Massimo Venturiello) scegliendo tra le scene più belle dalle sue opere più famose, I giganti della montagna e La favola del figlio cambiato. A teatro abbiamo messo in scena un recital tratto da Lumie di Sicilia (portato anche a Friburgo in collaborazione con l’Istituto di Cultura Italiano), Sei personaggi in cerca d’autore, Così è, se vi pare e realizzato altre due pirandelliane, una in streaming (nel periodo del lockdown, dal titolo Il sipario di vetro) e un’altra più recente che abbiamo portato con grande successo ad Avellino. Il berretto a sonagli è una delle tante opere di Pirandello che esplorano i temi centrali della sua poetica (non c’è più pazzo al mondo di chi crede di avere ragione), mettendo in luce come le convenzioni sociali costringano gli individui ad indossare una maschera, anche a costo di sacrificare la propria felicità. Pirandello sceglie un emblema di forte impatto, rappresentato da quel copricapo che usavano i buffoni di corte (il berretto a sonagli appunto), come metafora del pubblico ludibrio. Fino a che punto si è disposti a tollerare per non subirlo? A cosa si è pronti a rinunciare pur di mantenere le apparenze? Qual è il prezzo della serenità e quale quello della verità? In quest’opera Pirandello riesce a mettere in luce la complessità dell’animo umano e delle dinamiche sociali attraverso la straordinaria invenzione delle “tre corde” (o tre zone): la civile, la seria e la pazza. A seconda delle circostanze, l’uomo usa di volta in volta una delle tre per riuscire a stare in equilibrio nell’intricato reticolo delle regole non scritte della società. La scelta del testo in dialetto agrigentino – una sfida ardua per gli attori – è dettata dalla necessità di riappropriarsi di quella che è la forza espressiva più pura della scrittura di Pirandello, quella forza espressiva che si ritrova soprattutto nelle novelle. Come per esempio Certi obblighi o La verità, dalle quali poi Pirandello fa nascere questo copione. Ho preso in prestito la prima delle due per un prologo che mi permettesse di mettere in scena “gli altri”, cioè la società che guarda, che giudica e che sentenzia.
Vittorio Bonaccorso
Trama:
La vicenda ruota attorno a Beatrici Fiorica, una donna tormentata dalla gelosia per il marito, il cavalier Fiorica, che sospetta essere coinvolto in una relazione extraconiugale con Sarina, la giovane moglie dello scrivano Don Nociu. Determinata a smascherare il tradimento, Beatrici elabora un piano per farli sorprendere in flagrante adulterio dalle autorità e denunciandoli. Don Nociu, consapevole della relazione, ha finora tollerato la situazione per salvaguardare il suo “pupo” il suo onore. Egli cerca di convincere Beatrice a desistere, spiegandole la teoria delle tre zone (corde) che ogni individuo possiede, ma Beatrice procede con il suo piano. Il marito e Sarina vengono sorpresi insieme e arrestati, causando uno scandalo che getta discredito su tutte le famiglie coinvolte. Per risolvere la situazione, Don Nociu propone una soluzione paradossale: far passare Beatrici per pazza. In questo modo, il suo gesto verrebbe attribuito alla follia, e l’onore di tutti sarebbe salvo. Beatrici, inizialmente riluttante, viene convinta ad accettare questa soluzione e viene ricoverata in una casa di cura per qualche mese. La commedia si conclude con una risata amara di Don Nociu, che riflette la disperazione e l’assurdità della situazione.