La prof. Giuseppina Pavone su "Lisistrata"
La prof. Giuseppina Pavone su "Lisistrata":
… Quando la satira, ancorché ‘oscena’, diventa un’opera d’arte.
La Compagnia G.o.D.o.T. con LISISTRATA di Aristofane chiude i battenti della 14a edizione di ‘Palchi Diversi Estate’, edizione eccezionale per il livello di competenza e professionalità dimostrato da tutti i protagonisti. L’imponente successo della messinscena di quest’ultima commedia non è passato inosservato alla comunità iblea (e non solo) e continua a sollecitare numerose riflessioni e considerazioni. Ecco le mie.
Nel 411 a.C., in un’Atene sempre più logorata dalla guerra del Peloponneso e provata dalla catastrofica spedizione in Sicilia, Aristofane compone una delle più scintillanti narrazioni di potere che l’antichità ci abbia lasciato: Lisistrata.
Sicuramente lo stesso Aristofane non si aspettava che questa commedia, carica di verve e di forza comica, dopo 2500 anni sarebbe apparsa oggi oltremodo attuale per i modelli di pensiero, i caratteri e i temi trattati, primi fra tutti i problemi che più direttamente coinvolgono la coscienza collettiva della ‘polis’: la corruzione, la demagogia ma, soprattutto, la pace.
Semplice la trama: mentre infuria la guerra, una massaia ateniese, Lisistrata, stanca dei disagi creati dalle ostilità belliche, escogita la genialissima idea di radunare le donne di tutte le città greche contendenti persuadendole (anche quelle resistenti perché nostalgiche degli amplessi d’amore) a rifiutare i loro favori a mariti e amanti finché non verrà conclusa la pace. A tal fine le chiude nell’acropoli insieme con il tesoro dello Stato che serve a finanziare la guerra. Giungono preoccupate le Ambascerie da Sparta e, dopo vari confronti a dir poco concitati, si accordano rapidamente pur di riavere le donne; lo sciopero sessuale raggiunge il suo scopo: gli uomini, allo stremo, non tanto per le sofferenze della guerra quanto per il pulsante desiderio erotico non soddisfatto, si arrendono.
L’argomento audacissimo è trattato da Aristofane con assoluta libertà e spregiudicatezza. Rivive in questa commedia l’antica licenza delle feste ‘fallofòriche’ [nel mondo classico, cerimonie in cui veniva portato in processione il simulacro fallico, simbolo di fecondità, generalmente durante i riti orgiastici in onore di Dioniso; un Greco del V secolo non trovava nulla che offendesse la vista e l’udito del sacerdote che assisteva solennemente alla rappresentazione vicino all’altare del dio].
Al di là delle più o meno complesse riflessioni storico-sociali che se ne possono trarre, una mi sembra più pertinente in questa sede: la ‘questione femminile’ e la correlata analisi della ‘ condizione della donna’ non sono un portato emergente e cavallo di battaglia del XX secolo (ancora oggi vivo e vegeto e in sempiterna discussione), ma hanno radici molto profonde e lontane nel tempo. Lo stesso Aristofane le ha trattate in vari precedenti lavori e altri ancor prima di lui, come testimoniano i testi di non pochi Autori della letteratura sia greca che latina. Problemi atavici che sembrano perpetuarsi nel tempo senza soluzione di continuità.
E se degno di lode è Aristofane per aver lasciato ai posteri un testo così vero e significativo, non lo è meno la Compagnia G.o.D.o.T., diretta dai due eclettici e talentuosi Direttori Artistici, FEDERICA BISEGNA e VITTORIO BONACCORSO, che l’hanno selezionato, pianificato e realizzato.
Pur rispettando il testo dell’Autore, l’adattamento della G.o.D.o.T. presenta nella trasposizione scenica non pochi aspetti di originalità che, esplicitati e attualizzati, ne fanno apprezzare il senso e il messaggio, mantenendone l’indiscusso fascino e catturando l’apprezzamento degli spettatori. L’attenta e meticolosa regia di Vittorio Bonaccorso permette di costruire il susseguirsi delle scene con una convincente logica narrativa che evita allo spettatore di ‘smembrarne’ le dissonanze, il facile moralismo e la volgarità, il crudo realismo e i voli dell’immaginazione, lo spirito retrivo e il sogno salvifico più audace e fantasioso; l’impegno del regista, pienamente riuscito, è la realizzazione dell’unità dialettica del particolare e dell’universale (caratteristica questa non nuova in Bonaccorso).
Federica Bisegna (realizzatrice anche dei fantastici costumi di scena, di cui dirò più avanti), condivide tale costrutto e lo completa con la struttura portante di tutto l’impianto dei contenuti: la rivoluzione delle donne. Una magnifica Lisistrata/Federica, determinata e irremovibile nel portare avanti il suo progetto: spiega, ammalia e coinvolge, infiamma argomentando (“se le donne sono in grado di governare e amministrare la propria casa, lo sono anche di amministrare i beni pubblici, e meglio di quanto abbiano fatto sinora gli uomini”), rinforzando la serietà dell’ideale pacifismo panellenico, proclamato a chiare lettere dall’Autore, pur nella scabrosità dell’argomento e del linguaggio. E a tal proposito, quanto mai opportuno l’intercalato uso del dialetto siciliano da parte di una delle giovani del gruppo, un’imprevedibile e sorprendente Emma Bracchitta, che con veemenza rintuzza gli attacchi maschili ridicolizzandoli con ‘colorite’ espressioni tipiche del gergo popolano.
Importante in Lisistrata è la tematica del controllo del ‘corpo femminile’ che rende soprattutto le donne ‘soggetti’ e non ‘oggetti’. Le donne con il loro sciopero, infatti, non negano agli uomini solo i rapporti sessuali, ma prendono il possesso del proprio corpo, diventandone padrone. Ciò significa conquistare la gestione della propria sessualità e, con questa, il diritto al desiderio (come non pensare agli analoghi temi ripresi e rilanciati negli anni ’60 del XX secolo!).
Ne è ben consapevole Mirrina (Benedetta D’Amato) che, pur desiosa anche lei di cedere alle lusinghe d’amore, non esita a tenere sulla corda il desiderio del suo uomo, sembra concedersi ma allunga i tempi della fattualità, fin poi ad allontanarsi allegra e disinvolta lasciando lui a bocca asciutta: una felice combinazione di strategie di attacco/difesa efficace e gradevole, una interpretazione magistrale!
Per tutta la durata della rappresentazione intenso e palpabile appare il ‘fil rouge’ che lega tutti i quadri scenici: l’esaltazione del valore della pace. Questo non solo tramite la comunicazione verbale dei contenuti, ma mi sento di dire per tutto ciò che il non verbale veicola, primi fra tutti i fantastici costumi, vivaci e colorati, scelti dalla geniale creatività di Federica Bisegna per indicare i tantissimi Paesi oggi in guerra nel mondo e attestare simbolicamente la loro presenza e l’adesione all’anelito di pace che tutto il mondo sente vivo. Ulteriore rinforzo a questo intento è dato da tutti gli altri fattori apparentemente complementari, ma che nella realtà risultano parimenti sostanziali: l’adeguatezza della scenografia, la congruità delle relazioni in scena, nessuna incertezza nell’uso dei tempi e dello spazio scenico (non facile quando il palco è una scalinata!). Il tutto completato dalle musiche scelte da Vittorio e i canti del sempre più bravo Alessio Barone.
E alla fine, tutti in scena con un tripudio di colori, di canti gioiosi e di sorrisi per inneggiare e auspicare la tanto agognata pace e festeggiare il ritorno dell’Amore!
Pur se può sembrare pleonastico, voglio sottolineare la bravura e la professionalità di tutti i componenti il cast, in primis i direttori artistici, ma degne di menzione le piccole deliziose attrici: padronanza della scena e capacità di assimilare l’intento dell’Autore permettono di proporsi come un unico ‘corpus recitativo’ rendendo elegante e affascinante un lavoro come Lisistrata, non facile per molti motivi.
Eccoli: Federica Bisegna e Vittorio Bonaccorso, Alessio Barone, Emma Bracchitta, Monica Chessari, Rossella Colucci, Benedetta D’Amato, Federica Guglielmino, Alessandra Lelii, Francesca Lelii, Anna Pacini, Cristiano Marzio Penna, Lorenzo Pluchino, Althea Ruta, Maria Grazia Tavano e i piccoli Carlotta Armenia, Sara Mirabella, Aida Munda e Amelia.
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