Il pubblico su "Danza macabra"
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Joana Mankolli Memushaj
La rappresentazione teatrale di Danza Macabra, con protagonisti Viktor e Federica, è stata un’esperienza coinvolgente e straordinaria. L’atmosfera cupa e magnetica del dramma di Strindberg ha preso vita sul palco grazie a un’interpretazione magistrale che ha catturato il pubblico in ogni momento.
Viktor ha dato vita a un personaggio complesso, oscillando tra la paura e la speranza, con una forza espressiva che ha reso palpabile ogni sfumatura emotiva. La sua performance è stata intensa, capace di trasmettere la lotta interiore e la vulnerabilità di un uomo in preda alla propria follia. Con una presenza scenica potente e una gestione impeccabile dei tempi drammatici, Viktor ha conquistato il pubblico dalla prima all’ultima battuta.
Federica, nei panni della protagonista femminile, ha offerto una performance che ha saputo sorprendere e sedurre. La sua interpretazione è stata di una profondità straordinaria, riuscendo a donare al suo personaggio una visione sfaccettata di fragilità, forza e determinazione. Ogni suo movimento, ogni sguardo, raccontava una storia, e la sua interazione con Viktor ha reso palpabile l’inquietante dinamica di potere e dipendenza tra i due.
La regia ha saputo valorizzare la scenografia minimalista e l’illuminazione suggestiva, amplificando l’intensità dei temi trattati, ma è stato indubbiamente il connubio tra Viktor e Federica a rendere questa Danza Macabra un’opera di rara bellezza. La loro chimica sul palco è stata straordinaria, creando una tensione che non ha mai abbandonato il pubblico, lasciandolo senza respiro.
Un applauso sincero a tutti gli attori coinvolti, ma soprattutto a Viktor e Federica, che hanno reso questa rappresentazione un’esperienza teatrale indimenticabile. La loro interpretazione non è stata solo una recitazione, ma un vero e proprio viaggio nell’animo umano, esplorando la sofferenza, il tormento e la bellezza di un amore oscuro e disperato.
Grazie di cuore alla Compagnia GoDoT per averci emozionato
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Alessio Barone
Una volta tanto che posso permettermi il lusso di fare da spettatore ad uno spettacolo della Compagnia GoDoT ne approfitto per scrivere qualcosa sullo spettacolo sotto la prospettiva di chi lo vede, non di chi lo fa.
Non avevo mai letto nulla di Strindberg, ma già dalla prima lettura ho capito che sarebbe stato un testo estremamente intrigante una volta rappresentato: questa figura di un uomo "estremamente brutto", Edgar (Vittorio Bonaccorso), che come un vampiro cerca di vivere le vite degli altri perché la sua, evidentemente, non lo appaga più (o forse non lo ha mai fatto), e così facendo fa del male a tutti quelli che lo circondano; prima fra tutti Alice (Federica Bisegna), che sebbene possa passare quasi per una vittima di suo marito, in realtà è crudele e spietata quanto lui, in questo gioco di coppia malato che si nutre di se stesso, come se fosse l'unico modo di queste due persone di sopravvivere; poi arriva Kurt (Cristiano Marzio) a spostare gli equilibri, ed in senso letterale. Non si capisce dalla parte di chi stia, quando parla da solo con Edgar lo tratta come un "vecchio amico", quando è con Alice invece la sostiene e la ascolta mentre si sfoga della sua infelice vita coniugale, perciò sebbene possa sembrare all'inizio un personaggio positivo, ne concludo che, di questi tre, nessuno lo sia. Sono tre pessimi esemplari di essere umano: il vampiro, la frustrata e l'approfittatore. Forse l'unico personaggio positivo è il figlio di Kurt, il malinconico Allan (Lorenzo Pluchino), costretto a subire i giochi infelici di Judith (Benedetta D'Amato), che come suo padre Edgar ha imparato l'arte di manipolare gli uomini, e ne deriva una giovane storia d'amore il cui unico fine è essere strumentalizzata dal vampiro che avvelena tutto attorno a sé. E se tutto ciò l'ho capito avendo visto solo una replica dello spettacolo, è perché l'interpretazione di tutti e cinque, la regia, la scenografia, la musica, il ritmo soprattutto sono quelli a cui ormai ci ha abituati la Compagnia, e chi ci conosce lo sa benissimo! Si potrebbe dire molto altro su questo testo e sullo spettacolo in generale, ma è così coinvolgente ed appassionante che sono sicuro che gli interessati abbiano già intenzione di prenotare, ma non aspettate l'ultimo weekend o non troverete posto P.S. Non faccio spoiler, ma ci sono anche due piccole partecipazioni di Alessandra Lelii e Rossella Colucci, che anche se brevissime aggiungono molto spessore alla condizione mentale e disperata dei due protagonisti.
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Salvino Lorefice
“Ho assistito ieri sera alla Prima della rappresentazione di “Danza Macabra”, di August Strindberg nell’adattamento di Federica Bisegna e con la regia di Vittorio Bonaccorso. In passato ho visto recitare i due artisti appena citati, ma mai li ho visti immedesimati nei personaggi come lo erano in questa performance. Il risultato è stato coinvolgente. Federica Bisegna e Vittorio Bonaccorso hanno dato vita a due personaggi (rispettivamente Alice e il Capitano Edgar) che potrebbero costituire una coppia dei nostri giorni, e non quelli del primo Novecento. Una coppia, ormai stanca della convivenza dopo 25 anni di matrimonio vissuti in posto isolato chiamato fortezza, si odiano a morte. Il loro rapporto è infelice, ma viene mantenuto in vita perché si rinfacciano a vicenda il passato, in una sorta di gioco al massacro. Lei rievoca, spiega, rinfaccia il perché ha sposato Lui, abbandonando una presunta carriera di attrice. Lui, capitano, insegue la carriera ad ogni costo (si direbbe oggi, non guarda in faccia nessuno) usando cattiveria verso coloro che lo circondano; un capitano che sembra nutrirsi del dolore altrui. Tra i due si presenta Kurt (Cristiano Maurizio Penna), cugino di Alice e, forse, ex amante di lei. E il gioco sado-masochista continua, si complica. Uno spettacolo da vedere, da godere, perché si assiste ad una rappresentazione che ha un ritmo che non lascia tregua allo spettatore. Nel secondo tempo, fanno capolino due personaggi che incutono tenerezza, e non solo per la loro giovane età, ma per l’interpretazione di due ulteriori personaggi che sembrano voler ripetere il gioco dei rispettivi genitori. Essi sono Allan (interpretato da Lorenzo Pluchino), che è il figlio di Kurt; e Judit (Benedetta D’Amato) che è figlia di Alice e di Edgar. Non c’è Eros, in questo dramma. C’è Thanatos appunto, la Morte, che aleggia, che danza. Si prevedono altre 11 repliche per un teatro piccolo ma Grande.“
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Mariangela Antoci
“Prima di qualche settimana fa non conoscevo Strindberg e, già qui, il primo grazie perché il vostro teatro è opportunità di crescita e conoscenza. Quando poi mi sono documentata avevo già visualizzato chi avrebbe interpretato i vari personaggi e, qui, siamo a quello che è un altro valore aggiunto: avere e/o ricercare gli attori giusti sempre per ogni ruolo. E, infine, lo spettacolo...ritmo incalzante, dialoghi cinici, a tratti spietati ma veri, ordinariamente realistici. Nonostante tutto!!! Nonostante tutto l’odio, nonostante tutta la spietatezza di 25 anni vissuti come dentro ad una prigione fisica e mentale, nonostante l’ambiguità dei rapporti coi terzi. Sì, molte vite nella realtà, sono vissute esattamente così, come quella di Edgar e Alice, di Kurt, di Allan e Judith!!! Tristemente, proprio così! Grazie, ancora una volta Compagnia GoDoT per accendere un faro, attraverso la vostra arte, su quella che per tanti è una realtà!!!”
Sabrina Cassarino
“Ho assistito alla prima dello spettacolo e posso affermare che è stato molto intenso. Ho percepito fortemente le frustrazioni dei personaggi, il conflitto tra Edgar e Alice , vivendoli emotivamente come se io stessa facessi parte della rappresentazione teatrale. In particolare il secondo atto , e la situazione complessa e amorosa di Judit e Allan , mi ha smosso personalmente e interiormente .”
Laura La Carrubba
Bellissimo spettacolo tragico e nello stesso tempo comico, la Compagnia GoDoT come al solito si supera mettendo in scena una tragicommedia che parla del rapporto di coppia ma in realtà stando lì a sentire e guardare secondo me non hanno interpretato solo la coppia ma anche tutti i problemi quotidiani che ci sono tra genitori e figli, tra fratelli e pure tra amici e parenti. L'invidia, la gelosia e la superbia che viviamo nella quotidianità, andate a vedere danza macabra sarà una serata di pura riflessione. Strepitosi Federica e Vittorio, bravissimi tutti gli altri attori che volta per volta si superano.
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Cettina Cavalieri
Lavoro eccellente! Vittorio e Federica, in " Danza macabra" diventate ancora una volta, personaggi verissimo di una realtà dove sentimenti e amore appaiono rinsecchiti, atrofizzati, voi due, maschere perfette di una empatia al negativo in una lotta cieca ed estenuante. Fascinosissimi e dolcemente nostalgici i costumi di scena.(A parte...voi e la vostra deliziosa compagnia mi date un dono raro, non so...come un senso di "ricominciare" da tanto dimenticato, dati i miei 86!). Il vostro Teatro, Federica e Vittorio, è pura magia. Grazie infinite,
Roberto Farruggio
Scrivevo a proposito de Il Sentiero Fantastico della Compagnia GoDoT, anno domini 2016 se la mia canuta memoria non inganna come ormai spesso fa i miei ricordi, che in quell’occasione “la penna sensibilissima di Federica Bisegna va oltre e ci insegna ad affrontare la vita di ogni giorno con un’altrettanto straordinaria arma che spesso si abbina alla fantasia. No, non è un termine difficile, da "azzecca-garbugli", un algoritmo da scovare tra quelli che ormai governano la nostra vita. Si tratta di una parolina inventata (e non poteva essere diversamente) dai greci, εἰρωνεία, ovvero ironia.” Ora voi vi chiederete, che c’entra tutto questo con Danza Macabra di Strinberg che lo scorso weekend ha debuttato presso la Maison Godot? Intanto personalmente mi appello alle due paroline magiche, Sentiero Fantastico (nove anni fa era dedicato a quelle favole, riviste da Federica, che hanno accompagnato e in un certo senso edulcorato la nostra adolescenza, riscoperte, anche questo scrivevo, come all’interno dell’armadio de Le Cronache di Narnia. Già da quell’occasione però, il mio personale Sentiero Fantastico intrapreso se non erro, due anni prima con L’Aumento di Georges Perec, mi faceva rimanere con le antenne dritte ogni qual volta leggevo di una nuova mise en scène Godot. La Compagnia per me da tanti anni rappresenta il crogiolo di un talento estetico e professionale che racchiude tutta l’Arte in generale, e per fortunata resiste alle altissime temperature di un eventuale ma latente (?) non riconoscimento del loro merito che personalmente, aihmè, ho percepito, e mi limito solo a questo, da parte di chi, chiamato a certificarlo dagli scranni di amministratore, si rivela ben poco visionario e, soprattutto, ancor meno preparato. Mi piace però anche mettere in evidenza alcuni termini della mia vetusta prefazione che per me, oltre alla sapienza tecnica dei vari componenti la Compagnia, dalla regia alla scenografia, dai costumi alle luci, alla musica e alla parte eminentemente tecnica, sono certificati, questi si, da migliaia di spettatori negli anni che hanno affollato e affollano le loro due rassegne invernale ed estiva, e che non mancano mai nelle produzioni Godot. Termini che mi porto appresso da tanto e che nel loro dipanarsi nel passare del tempo hanno assunto sempre più forza fino a fare della Compagnia una Scuola di Teatro che non ha da temere alcun raffronto con nessuno. E in questo Sentiero Fantastico a mio modesto avviso esiste una, come dire, famosa liaison di quei termini, che camminano a braccetto e che permea le loro più “pesanti” produzioni, da “Finale di partita” fino a Macbeth per esempio, e poi da Il Marinaio a Il re muore, Il Castello, La casa di Bernarda Alba fino all’attuale Danza Macabra. Quindi per me la fantasia, l’ironia che parrebbero ingredienti irrituali ed estranei in autori come Kafka, Pessoa, Garcia Lorca, Shakespeare, Beckett o Strindberg e certamente ammessi nelle mise en scène come Prove Tecniche di Misfatto, Sold Out oppure ancora La sinfonia del destino ed altre, si rivelano puzzles che convivono con gli aspetti drammaturgici di alcune produzioni che solo uno stolto riterrebbe “pesanti”. E tutto ciò, ancora e sempre a mio modesto avviso, si percepisce in Kafka e anche in Strindberg (e lo ha percepito anche la piccola Anna) in cui i vari personaggi, Edgar, Alice, Kurt, Judit, Allan paiono danzare, appunto, sull’orlo di una morte, temporanea o assoluta, da cui rinasca la vita e che non può non nutrirsi di ironici atteggiamenti e sorrisi quasi a scherno di quel destino fatto come di vicendevoli assalti, colpe e rimpianti, battute e ribattute. Ed è un tran-–tran che si ripete ormai da anni in quello scoglio desolato, farcito da anamstetici ricordi, piccole guerre che il militare Edgard non può non vincere e in cui i suoi “commilitoni” si prestano a un gioco delle parti che ritrovo spesso nelle produzioni Godot, e d’altrone non può non essere che così. Poi, la regia di Vittorio è densa di rimandi, come ne Il Castello di Kafka in cui ho intravisto alla fine l’insetto Samsa, così in Strindberg ha vagato all’improvviso la Morte del Settimo Sigillo bergmaniano (e i collegamenti tra Strindberg e Bergman sono talmente lapalissiani nel conflitto tra i sessi che non spetta certamente a me evidenziare). Il tutto, ancora una volta, impreziosito dalla grande maestria recitativa di Federica, Vittorio K. Bonaccorso, Cristiano (per me una grande scoperta), Rossella Colucci, Alessandra Lelii, Lorenzo Pluchino e Benedetta D'Amato e dall’altrettanto maestria alla fonica e alle luci di Mattia. Anche Strindberg dunque smuove il nostro intimo, non lo affossa certamente, grazie alle capacità Godot e a quel crogiolo di termini che sembrano l’un contro l’altro armati ma che in realtà non lo sono e non lo saranno mai. E Strinberg fa tutto ciò per me con un personalissimo rimando a Dostoevskj, "Era una notte meravigliosa, una notte come forse ce ne possono essere soltanto quando siamo giovani, amabile lettore. Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso che, gettandovi uno sguardo, senza volerlo si era costretti a domandare a sé stessi: è mai possibile che sotto un cielo simile possa vivere ogni sorta di gente collerica e capricciosa? Anche questa è una domanda da giovani, amabile lettore, molto da giovani, ma voglia il Signore mandarvela il più sovente possibile nell'anima! ...”. E pure questa è una liaison con cui Strindberg e gli autori cari all’Universo Godot continuano ad incatenarci e a meravigliarci. Tra due ore in scena!
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Christoph Ferber
Ieri ho avuto la fortuna (per la prima volta in vita mia) ad assistere alla mise en scène di uno spettacolo di Strindberg. E questo in una città di provincia!! E' stata una esecuzione formidabile. Siete tutti stati bravissimi. Nonostante la lunghezza è stato uno spettacolo accattivante, denso, meraviglioso. E poi avete anche eseguito il secodno atto, fatto piuttosto raro. Visto che mi occupo di traduzione, vorrei sapere quale traduzione avete scelta...
Tanto di cappello!! E' una cosa unica per una cittadina come Ragusa poter assistere a degli spettacoli tanto impegnativi quanto importanti.
Un caro saluto,
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Piero la Terra
Domenica pomeriggio, la compagnia GoDoT ha messo in scena una delle opere più famose del drammaturgo August Strindberg "Danza macabra", scritta nel 1900. L'adattamento di Federica Bisegna e la regia di Vittorio Bonaccorso sono stati impeccabili, come sempre; i costumi, le scene, il trucco azzeccati e propedeutici a calare lo spettatore nell'atmosfera dei primi del '900.
L'alto livello interpretativo, constatabile nel ritmo serrato dei dialoghi, nelle pause sorprendentemente eloquenti, nella mimica facciale molto significativa, ha fatto comprendere, al pubblico presente, il senso della "danza macabra" tra un marito ed una moglie, magnificamente interpretati da Vittorio e Federica.
L'intento di sopraffarsi l'uno con l'altra ha messo in luce due anime derelitte, dilaniate da contrasti, beghe, vecchi rancori mai sopiti, bassezza umana. Nessuna luce si è intravista, se non quella finale affidata ai due giovani innamorati (ottimi interpreti Benedetta D'Amato e Lorenzo Pluchino ). Ma sarà vero ? O continuerà tra queste verdi anime la danza macabra nella quale si risolve, secondo Strindberg, ogni matrimonio ? La famiglia, dunque, si rivela una trappola mortale nella quale i protagonisti si dibattono, in assenza di valori e di condivisioni.
Altro interprete di spessore è stato Cristiano Marzio Penna, nel ruolo di Kurt, capo della quarantena, perfetto nel ruolo di amico/rivale di Edgar.
Grati alla compagnia GoDoT di averci fatto conoscere ed apprezzare questo grande autore attraverso questa riuscitissima messa in scena. Fieri di avere nel nostro territorio questa compagnia, ci auguriamo di potere assistere ancora a rappresentazioni significative, come tutte quelle che ,finora, ci hanno visto partecipi.
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Rosa Giaquinta
Seguire il percorso professionale nelle proposte teatrali della Compagnia Godot, permette, a mio parere un arricchimento culturale per l'approccio alle opere di grandi autori. Gli stessi, cosi come tradotti nella scena diventano interessanti e amabili. L'opera che ci è stata presentata "Danza macabra", è stata recitata con sapiente tensione e, al tempo stesso, scorrevolezza. Grandi Federica e Vittorio nei dialoghi recitati con naturalezza pur nella continua contrapposizione del pensiero ed emozioni dei personaggi. Non mi sono resa conto della durata di questa tragicommedia e il merito va a tutti gli interpreti presenti in scena. Federica e Vittorio hanno, ancora una volta, costruito con sapiente alchimia, uno spettacolo di cui porteremo memoria per la bellezza e intensità. Grazie!
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Emanuela Cascone
Grazie Compagnia GoDoT perché ci hai tenuti incollati alla sedia, facendoci provare i sentimenti più diversi di un' opera maestosa tanto quanto è la vostra altissima interpretazione. Grazie per fare a Ragusa, ingrata, un grandissimo teatro! Alla prossima
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Lucia Ravalli
Ero un po' scettica. Immaginavo qualcosa di pesante e lucubre a guardare la locandina. Poi mi sono documentata ed abbiamo deciso di venire a vedere come sarebbe stata rappresentata, conoscendo la bravura dj Vittorio e Federica nei loro reciproci ruoli. Ebbene non c'è stato minuto di distrazione, stanchezza o altro... Siamo stati letteralmente assorbiti dalla storia, dalla loro bravura, dal ritmo incalzante e coinvolgente ecc.. Bravissimi gli altri attori che hanno interpretato in maniera magistrale il loro ruolo. Complimenti vivissimi. Consiglio vivamente agli scettici e non di andare a teatro a vedere quest'opera attualissima nel l'argomentazione, resa ancor più magistrale x la regia infallibile di Vittorio. Bravi, bravi, bravi.
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Evelina Giacchi e la piccola Anna Nobile
“Domenica scorsa ho avuto il piacere di assistere a "Danza Macabra", messo in scena dalla Compagnia G.o.d.o.t., adattamento di Federica Bisogna del testo di Strindberg. L'ira e la rabbia di tutti nei confronti di Edgar era reale e motivata? Lui, sicuramente col suo fare da tiranno e le continue bugie per manipolare tutto e tutti, non ha mai fatto nulla per espiare le sue colpe, ma l'infelicità di Alice e le sue continue accuse non erano certo dovute tutte ad Edgar..che è un po' la metafora di ciò che avviene nella vita di tutti i giorni: È sempre più facile incolpare gli altri dei propri insuccessi e della propria infelicità, quando in realtà si dovrebbe guardare dentro sé stessi per trovare il reale motivo di ciò.. è sempre più facile prendersela con gli altri piuttosto che farsi un esame di coscienza e capire che in alcuni casi il problema deriva proprio da noi stessi. Un testo complicato da portare in scena ma reso alla portata di tutti, adulti e bambini, dall'adattamento e dai costumi di Federica e dalla scena e regia di Vittorio. I complimenti, oltre ai direttori, vanno a tutti: Cristiano, Lorenzo, Benedetta, Alessandra e Rossella.. bravissimi come sempre! Solo voi potete riuscire in "imprese" culturali simili!”
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Giuseppe Traina
Quanto sono bravi quelli della Compagnia GoDoT!!!
"Danza macabra" è un testo complicatissimo, per quel che ho capito: sta a metà strada (in un mélange forse un po' incerto) tra lo Strindberg naturalista e il successivo Strindberg simbolista, tra Otto e Novecento insomma. Atmosfere opprimenti che tuttavia prendono luce nell'infiammarsi appassionato della recitazione di Federica Bisegna e Vittorio K. Bonaccorso, mentre Lorenzo Pluchino e Benedetta D'Amato non hanno timore di scivolare nel melodrammatico e, all'opposto, Cristiano Penna gioca di sottrazioni, di interiorizzazione, come il personaggio di Kurt richiede. Il grande tema del matrimonio come prigione, sul quale il teatro dell'Ottocento ha combinato infinite variazioni, è proposto da Strindberg sul filo dell'ossessione, della ripetizione ossessiva. E la regia di Vittorio K. Bonaccorso così l'asseconda. Ma quante sorprese nel finale! All'insegna dell'ambiguità, ecco ribaltamenti di fronte inaspettati, coraggiosamente resi senza troppa enfasi dai nostri attori, dato che il diapason melodrammatico era stato raggiunto nel sottofinale, e così il finale vero e proprio è una candelina che si spegne, come la vita del protagonista. Io spero tanto che il pubblico della provincia iblea venga a vedere questa messinscena perché la vita teatrale in provincia potrebbe essere a un punto di svolta. Finalmente è emerso alla luce uno scandaloso sistema di ampio finanziamento pubblico di spettacoli indecorosi, sorretti dai partiti al potere a Roma e a Palermo: sarebbe ora che questo giro di vecchi attori imbolsiti e attricette da quattro soldi che ripropongono all'infinito le stesse commedie da decenni, facesse la fine che merita. Parallelamente, tra Vittoria e Ragusa compagnie giovani o singoli attori-registi-imprenditori propongono coraggiosi esperimenti ma realizzati davvero in economia, senza quel sostegno pubblico che meriterebbero. In questo quadro così mobile, la Compagnia GoDoT, che sa mescolare insieme le generazioni (sul palcoscenico e in platea), per me è un punto di riferimento sicuro: che potrebbe adagiarsi sul repertorio che ha collaudato da molti anni e invece continua a sperimentare, mettendo in scena autori impegnativi e testi di grande complessità. Qualcuno, prima o poi, dovrebbe rendergliene merito.
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Ivana Denaro
Gli attori della compagnia GoDoT di Ragusa ci hanno incantato stasera con una rappresentazione straordinaria della "Danza macabra" di August Strindberg, una vera e propria danza di emozioni contrastanti, in cui l’amore, l’odio e la vendetta si intrecciano in un continuo gioco di potere. Consiglio a tutti di andarla a vedere.
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Roberto C. Deri e Gabriella Vadalà (antropologi e scrittori).
L’incanto di un viaggio
Il caratteristico odore del legno richiama echi lontani di palcoscenici teatrali e
il luogo ci avvolge nella sua incantevole miscellanea di sculture e locandine policrome che costellano le pareti come un mosaico di esperienze dove l’arte recitativa è emanazione profonda dell’anima. Sfioriamo con le dita gli splendidi lavori scenografici di Vittorio Bonaccorso, spostandoci di continuo per alternare la nostra visione e centellinare la lettura di ogni ricordo teatrale... solo dalle fotografie l’intensità dello sguardo di Federica Bisegna ci entra dentro ed è come assistere contemporaneamente ad ognuna di quelle rappresentazioni.
Un cammino verso il palcoscenico che dura un’eternità.
Perché in fondo che cosa è il tempo se non un’entità astratta dove passato e futuro sono fusi in un’unica dimensione ed il presente è solo l’attimo immanente che li congiunge?
Siamo cresciuti respirando teatro e vivendolo in ogni sua manifestazione, fra Venezia, Napoli e soprattutto Roma, dove abbiamo avuto l’onore di conoscere e ricevere anche l’amicizia di alcuni suoi grandi “figli e figlie”, finché dopo numerosi anni e centinaia di rappresentazioni, qualcosa si è inceppato, molti, troppi e troppe interpreti sono partiti per il loro “lungo viaggio” e l’eredità si è dissolta in una miriade di pseudo recitazioni pregne della presunzione di chi non abbia compreso come “fare teatro” significhi introiettare e comunicare il potere evocativo del logos.
Federica e Vittorio posseggono questo dono talentuoso.
Anni di sospensione in cerca di qualcosa, di qualcuno che riaccenda in noi la magia mai sopita, l’energia intrappolata nel nostro intimo, quelle vibrazioni che solo l’arte recitativa teatrale può creare, fino ad oggi.
Perché il teatro è “gelo”, come sosteneva Eduardo De Filippo ma è soprattutto, magia, incanto ed emana quel glamour che ci rapisce per trasportarci in un luogo altro, diverso, più oppositivo alla “nostra realtà” che parallelo.
Federica e Vittorio ci hanno riaperto questa via, conducendoci per mano nel cuore della loro dimensione, fino a sperderci nel più magico fra i mondi possibili, interpretando “Danza Macabra” di Strindberg (fra i più difficili testi del mondo drammaturgico) con insuperabile bravura e immedesimazione, mantenendo un equilibrio perfetto fra il dramma esistenziale e il suo paradosso ironico.
L’apparente staticità del mondo borghese dei primi del Novecento e il gioco psicologico al massacro della coppia Alice e il capitano Edgar, è compresa, assorbita, “narrata”, alternando un duetto dove il duplice ruolo di vittima e carnefice appare e scompare, a seconda dei momenti narrativi, creando attraverso i dialoghi, l’energia della voce e la recitazione corporea, un notevole ed intenso dinamismo. Ricordandoci anche la fisicità espressiva del teatro antropologico.
Ed è qui che i due protagonisti superano la condizione talora ripetitiva di un certo teatro e mantenendo l’essenza profonda dell’opera senza sperimentalismi troppo dissacratori, riescono ad avvincere, trascinandoci in un pathos costante ma non ansiogeno con una recitazione che ha tutto il potere e le sonorità di una perduta greca memoria.
Magnetismo ed energia creativa emergono sovrani.
Le entrate ed uscite dalla scena attraverso il pubblico dissipano la barriera fisica e emotiva fra spettatori ed attori favorendo un’immedesimazione nei personaggi e nel contesto stesso, trasportandoci all’interno della storia, dove Federica e Vittorio sono Alice e il Capitano Edgar e noi ospiti consapevoli di quella casa-fortezza.
Intensa anche la bravura di Cristiano Marzio Penna, interprete di Kurt, il cugino di Alice, suo probabile ma mai certo amante, e di Lorenzo Pluchino e Benedetta D’Amato, rispettivamente Allan figlio di Kurt e Judit, figlia di Alice ed Edgar, e di Rossella Colucci e Alessandra Lelli, personaggi ed attori abili e partecipi dell’equilibro drammaturgico, magistralmente condotti dalla regia che opera una trasformazione fisica ed interiore che va oltre il metodo Stanilawsky (e metodo Strasberg) per riconquistare la profondità e la magia di quella recitazione pre-metodo, dove lo sguardo ti scava l’anima ma mira anche oltre l’orizzonte. L’orizzonte già… ma il palcoscenico della Maison Godot non ha limiti fisici, ci permette di guardare oltre la bella scenografia, è una finestra aperta su tutti i mondi possibili.
Per noi il teatro è stato un’iniziazione che attendeva una nuova rinascita nel suo alveo più profondo. Grazie Federica e grazie Vittorio per averci “accompagnato” in questa rinascita. In fondo il “teatro” non è anche una soglia dimensionale per accedere ad un altro universo dove ogni personaggio acquisisce una vita propria?
La Maison Godot ne è il Portale.
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Danilo Amione
Uno spettacolo da non perdere assolutamente!!!
Compagnia GoDoT di Bisegna-Bonaccorso.
Teatro "Maison Godot", Ragusa.
"Danza macabra", di August Strindberg.
Adattamento di Federica Bisegna.
Scene e regia di Vittorio Bonaccorso.
Con Federica Bisegna, Vittorio Bonaccorso, Cristiano Marzio Penna, Benedetta D'Amato, Lorenzo Pluchino, Rossella Colucci, Alessandra Lelii."Danza macabra" di August Strindberg è sinonimo di quel grande, magico azzardo che si chiama Teatro. La vicenda di Edgar e Alice, marito e moglie, è il paradigma assoluto della sconfitta dell'Umanità, del fallimento dell'Uomo, dell'impossibilità di uscire fuori dal proprio Io e del conflitto perenne che siamo destinati a vivere anche con chi sentiamo più vicino a noi. Scritta nel 1900, la stratosferica pièce del geniale autore svedese si muove sulla scia di Freud e anticipa autori novecenteschi del calibro di Beckett e Pirandello. Come non pensare al "Così è (se vi pare) del grande agrigentino, in quell'entrare e uscire dalla scena dei due protagonisti di Strindberg, impegnati a convicere lo spettatore delle loro ragioni contrapposte. E come non assimilare l'incomunicabilità di Edgar e Alice a quella dei tanti personaggi creati dal genio dublinese di "Aspettando Godot" e "Finale di partita", perennemente calati all'interno di dialoghi che si consumano nel nulla di chi mai potrà riuscirà a comprendere il dire dell'altro, tutti travolti da una realtà spaventosamente indecifrabile e segnata da una sola certezza, lo scorrere del tempo, il vuoto, la morte. Fece scandalo "Danza macabra", nel 1900, perchè il coraggio dell'arte somma di Strindberg intaccava l'istituzione sociale per eccellenza, la famiglia. Per la prima volta, essa veniva messa in discussione con una veemenza, sconfinante nella violenza più sordida, da fare rabbrividire persino i più scettici di questo nucleo naturale primordiale, strettamente connaturato all'essenza umana e per questo inevitabilmente destinato ad essere ricettacolo e cassa di risonanza di ogni più sordida e inevitabile contraddizione. Paradossalmente, il "teatro borghese" di Strindberg è il primo atto di quel teatro rivoluzionario del Novecento che avrebbe gettato le basi per un rinnovo dell'Arte in molti altri campi. Edgar e Alice sono due vinti dal destino, lui fallimentare nella carriera militare, lei costretta a rinunciare alla carriera di attrice, pronti a sbranarsi ad ogni occasione, anche la più banale, dopo 25 anni di matrimonio divenuti una condanna a cui non si sanno sottrarre perchè quella è oramai la loro condizione esistenziale, la loro identità. Allontanarsene significherebbe per loro annullarsi, perdersi nell'indistinto, condizione impossibile da reggere. Solo la morte di uno dei due, nella fattispecie di Edgar, consentirà al coniuge superstite, Alice, di gioire perchè finalmente libero da questo "giogo" invisibile. E la spaventosa risata finale davanti al morto è la sintesi più efficacedi questa raggiunta e anelata "libertà". Strindberg allarga, simbolicamente, il suo raggio d'azione disperante anche ad altri personaggi non strettamente legati al nucleo familiare indagato, ad evidenziare come nessuno sfugga a questo gioco al massacro, che dalla famiglia si allarga a macchia d'olio verso ogni dove. Kurt, il cugino di Alice, interpretato dall'impeccabile Cristiano Marzio Penna, rappresenta il mondo circostante, la realtà " toccata" da questo inferno dell'intimità. La sua è una figura ambigua, insieme vittima e complice dei tanti misfatti che si muovono sulla scena, come anche quella di suo figlio Allan e della figlia della coppia Edgar-Alice, Judith, giovani e innamorati ma destinati alla stessa sorte di sopraffazione e miserie vissuta dai loro "cari". Vittorio Bonaccorso, anche magnifico interprete di Edgar, nella sua strepitosa messinscena, perfetta nel ritmo e , soprattutto, nella tempistica, non trascura di citare direttamente uno dei più illustri allievi di Strindberg, il regista svedese Ingmar Bergman, ma anche, indirettamente, altri artisti che hanno regolato i loro "conti" con la famiglia, da Roman Polanski a Luis Bunuel, muovendosi attraverso innumerevoli registri interpretativi, che vanno dallo spietato al grottesco. L'uso che Bonaccorso fa della scenografia è essenziale nel far emergere i caratteri dei protagonisti, attraverso la magica fusione di realismo ed espressionismo. La figura femminile di Alice gode della straordinaria interpretazione di Federica Bisegna, impeccabile nell'incarnare le mille facce che ognuno di noi si trova a dovere prima vivere e poi "recitare" sul tragico palcoscenico della vita. Judith e Allan portano sulla scena il loro candore già intriso di tragica ambiguità, grazie alle indimenticabili interpretazioni di Benedetta D'Amato e Lorenzo Pluchino. Rossella Colucci e Alessandra Lelii sono preziose nel disegnare rispettivamente la "Morte" bergmaniana di provenienza "Settimo sigillo" e la "cameriera" di famiglia trucemente consapevole di ciò che le gira intorno.
Alla fine applausi interminabili per una messinscena ed una Compagnia, la Compagnia GoDoT di Ragusa, che in 30 anni di attività ha segnato definitivamente, per qualità e professionalità, il modo di fare e intendere il Teatro in questo capoluogo siciliano.
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Francesca Lelii
Ci sono solo due modi per riuscire nell’intento di morire infelici: il primo è vivere nel tormento di una coppia ed il secondo è vivere nel proprio tormento. È buffo pensare a come, con un ghigno della sorte, la causa si vada infine a mischiarsi con l’effetto, e si ottenga, alla fine dei giochi, lo stesso beffardo risultato, sebbene uno creda di marciare in direzione opposta. Ci crediamo diversi, ma farlo in coro ci rende gli stessi, tutti uguali, tutti omologati a guidare lo stesso dolore. Mi crea un senso di impotenza riconoscere che l’identità di ciascuno trova irrimediabilmente fondamento nella relazione con l’altro. E, dunque, posto che, in un modo o nell’altro, siamo tutti destinati a compiere lo stesso destino… che differenza fa? È davvero una questione di qualità? In “Danza Macabra” di Strindberg più che in altri testi, la tensione relazionale è generatrice di prospettiva, madre d’identità. E quanto più prospera è la sua forza creatrice, tanto più prorompente sarà la sua morsa distruttiva. In “Danza Macabra” di Strindberg, più che in altre pièce, si nota come tanto più è grande l’effetto distruttivo della relazione, tanto più è vero che l’individuo esiste solo in relazione alla relazione. Chi distrugge, solitamente e soprattutto, è chi ha anche il potere di creare.
Nella simbiosi, la nemesi. Siamo uno stormo di anime che si trascinano a fondo, come Alice ed Edgar, come stregati da un diabolico incanto, rincorriamo la morte dell’anima e non riusciamo a resisterle. Come l’Alice e l’Edgar che determinano reciprocamente i propri destini, scegliendo ogni giorno di danzare con la morte nell’altro e dell’altro, ma anche come l’Alice e l’Edgar che scegliessero di abbandonarsi all’etica dell’autodeterminazione (o dell’autodistruzione).
La vita è una costante danza di morte, per chi voglia viverla (o morirla). I rapporti di potere che la determinano possono anche non scaturire dalla relazione con l’altro, quando l’altro siamo noi. E l’avvicendarsi ciclico di questa (bi)polarità, che polarizza anche i sentimenti, ridotti ad un ineluttabile alternarsi di amore e di odio, non riesce, alla fine, ad insegnarci altro che questo (cito dalle note di regia): la terra è l’inferno, ma l’inferno può essere anche “una condizione dello spirito… ogni uomo (o donna, caro Strindberg) può portare in sé il suo cielo e il suo inferno”.
Commento a “Danza Macabra”, portato in scena dalla Compagnia GoDoT di Ragusa, esplosiva fucina culturale, diretta dai protagonisti di questo spettacolo totalizzante, Federica Bisegna e Vittorio K. Bonaccorso.
Ringrazio per la morsa allo stomaco gli interpreti Cristiano Marzio, Benedetta D'Amato, Lorenzo Pluchino, Alessandra Lelii e Rossella Colucci che hanno dato vita a un Immaginario.
Ancora in scena a Ragusa in Via Carducci il 14-15-16 ed il 21-22-23 Febbraio
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Maria Luisa Distefano
Grazie per avermi dato l'opportunità di conoscere un'opera così significativa di Strindberg, i messaggi esprimono una realtà sempre attuale, in una dinamica relazionale che solo con la vostra bravura poteva essere ben rappresentata. I sentimenti opposti dell'amore e dell'odio, della bontà e della cattiveria, della stabilità e dell'incoerenza, in uno stato personale di insoddisfazione e di travaglio interiore, trasmettono forti emozioni in un pubblico attento e che stima il vostro eccezionale lavoro. Con affetto a tutti voi, amati attori della Compagnia GoDoT il mio dirvi BRAVi, BRAVI, BRAVI........
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Daniele Pavone
LA “DANZA MACABRA” DI AUGUST STRINDBERG SECONDO GoDoT
Da tempo non avevo occasione di assistere ad un’opera d’arte teatrale (il termine “spettacolo”, sebbene più agevole, mi sembra riduttivo perché troppo generico, rischiando così di appiattire l’essenza squisitamente artistica del Teatro) messa in scena dalla Compagnia GoDoT e l’opportunità si è presentata in una domenica di forte maltempo, condizione meteo alquanto appropriata per assistere a un dramma cupo fin dal titolo quale “Danza Macabra” – altrimenti noto come “Danza di Morte” – dello svedese August Strindberg, in cui peraltro il maltempo è protagonista, non solo come ambientazione, ma anche e soprattutto come condizione esistenziale dei protagonisti. Un valore aggiunto è dato dal teatro ospitante che è la Maison GoDoT, la casa che la stessa Compagnia si è data investendo su sé stessa.
Inizio dalla fine: mentre i sette interpreti raccolgono gli applausi, Vittorio Bonaccorso – che cura la scena e la regia – prende la parola per invitare il pubblico a ritornare ai classici quale evasione dalla banalità della società odierna, sottolineando insieme a Federica Bisegna – che cura i costumi – l’eccezionale modernità del dramma, composto nel 1900 e riproposto – precisano i due attori e maestri di Teatro – senza reinterpretare in alcun modo la traduzione dal testo svedese originale, specificando altresì che hanno scelto di mettere in scena anche il secondo atto, composto tempo dopo il primo e di solito non rappresentato.
Strindberg ambienta il dramma su una piccola isola in cui il Capitano Edgar (Vittorio Bonaccorso) vive nella torre di una fortezza – un ex carcere – insieme alla moglie Alice (Federica Bisegna), attrice che ha rinunciato alla carriera per il matrimonio. Si tratta di un’ambientazione senz’altro plausibile, ma innanzitutto metaforica: nella vita reale quanti matrimoni sono vissuti e dunque subiti come un carcere esistenziale fisicamente rappresentato dall’abitazione in cui si consuma una convivenza spesso forzata, fatta di sopportazione e di annichilimento delle proprie ambizioni, da cui è impossibile evadere, più psicologicamente che fisicamente, condividendo così un sentimento analogo a quello – iconicamente rappresentato dal personaggio di Brooks interpretato da James Whitmore ne “Le Ali della Libertà” (1994) che, scontata la sua lunghissima pena, preferisce il suicidio alla libertà ritrovata – caratteristico di certi ex detenuti che dopo decenni trascorsi in galera, si ritrovano smarriti e privi di identità nel mondo esterno che li attende fuori dal carcere!?
In questo senso, a dispetto dei suoi centoventicinque anni, “Danza Macabra” potrebbe trovare agevole ambientazione in qualunque luogo nel tempo e nello spazio, non mancando di toccare temi straordinariamente attuali come l’emancipazione delle donne e il divorzio. Aggiungerei anche il tema dei matrimoni combinati che sembrava ormai superato da qualche decennio ma che nel mondo globalizzato di oggi è tristemente tornato di grande attualità, purtroppo anche nella sua espressione peggiore dei matrimoni forzati.
La scenografia, scarna ed essenziale con tessuti rosso vermiglio che non solo non scalfiscono, ma semmai esaltano il grigiore dominante delle pareti, rievoca pienamente l’atmosfera cupa del dramma; solo una foto incorniciata di Alice dall’espressione caricaturale – che del resto richiama certo gusto caratteristico dell’epoca – esposta su un pianoforte dona un tocco di ironia che stempera la tensione, unitamente alle punte di esasperazione raggiunte dai due protagonisti, prossimi alle nozze d’argento e ormai abbandonati persino dai domestici, come testimonia il personaggio di Jenny (Alessandra Lelii).
Vittorio Bonaccorso enfatizza con sottile ironia il carattere frustrato, irascibile, presuntuoso e lunatico di Edgar, combattuto tra l’esaltazione del proprio ruolo militare e la paura innanzi all’evidenza del destino di morte che lo attende. Non a caso la critica assimila questo personaggio alla figura di un vampiro.
Dal canto suo, Federica Bisegna esalta – anche nella scelta dei colori degli abiti e del trucco – la natura diabolica di Alice, inizialmente moglie rabbiosamente pentita di un matrimonio ormai prossimo alle nozze d’argento e vittima rassegnata alla sopportazione di un marito scorbutico e prevaricante da cui solo la morte potrà liberarla; poi, sempre più diavolessa tentatrice di Kurt (Cristiano Marzio Penna), vero e proprio terzo incomodo, amico della coppia, divorziato e appena ritornato dagli Stati Uniti, Paese evidentemente richiamato quale esempio di civiltà avanzata che si contrappone all’ambiente rude e spartano dell'isola e della sua fortezza: Kurt è elegante nell’abbigliamento e raffinato nei modi e nel linguaggio; Cristiano Marzio Penna esalta questo aspetto non solo nell’abbigliamento, ma anche nella recitazione, facendo leva su una dizione perfetta degna di un doppiatore o di uno speaker.
Il pubblico non è un semplice spettatore perché la scena si allarga alla platea buia in cui viene ambientato l’ipotetico ingresso della fortezza con protagonisti che vanno e vengono tra il pubblico, unitamente agli echi della burrasca e ad altri suoni e voci fuori campo che giungono da dietro. Grazie a questo classico espediente, gli spettatori vengono ulteriormente coinvolti e resi partecipi della tensione vissuta dai protagonisti. Impressionante in tal senso l’impatto scenico ed emotivo dell’ingresso della Vecchia con le sembianze della Morte (Rossella Colucci) – che richiama la figura iconica del capolavoro bergmaniano “Il Settimo Sigillo” (1957), non a caso anch’esso svedese – enfatizzato da una gelida luce violacea. Solo una breve apparizione, ma di fatto un cameo destinato a restare tra i momenti più significativi e ricordati dopo il calar del sipario.
Giova notare che la scelta di mettere in scena anche il secondo atto muta e completa la trama e dunque l’evoluzione stessa dei protagonisti, introducendone pure di nuovi. Infatti, al termine del primo atto il destino di Edgar sembra ormai segnato dalla malattia e si assiste ad una sua compassionevole umanizzazione che si rispecchia nel pentimento di Alice per il tradimento con Kurt. Il secondo atto fa riemergere ed esaltare l’indole malvagia di Edgar e, di riflesso, anche Alice e Kurt ritornano complici in un crescendo di crudeltà che si manifesta in tutto il suo sadismo nella scena finale delle grasse risate innanzi al cadavere di Edgar. Malvagità che produce altra malvagità, quanto basta per richiamare il tema dell’essere umano incapace di perdonare.
Inoltre, il secondo atto permette di spostare la scena dalla fortezza all’ex tenuta reale di caccia ove vive Kurt, scaltramente a lui sottratta dallo stesso Edgar. Qui l’ambiente è elegante e meno severo, evidenziato da drappi e tessuti dorati, colore che sembra quasi richiamare l’unico raggio di sole che fa da contraltare alla scena della morte di Edgar: l’amore inizialmente non corrisposto provato dal giovane militare Allan (Lorenzo Pluchino), figlio di Kurt, per Judit (Benedetta D’Amato), figlia di Alice e Edgar, con quest’ultimo che stabilisce di far trasferire Allan per tenerlo lontano da Judit, da lui stesso destinata alle nozze con un anziano colonnello. Proprio la delusione delle aspettative provoca il malore fatale per Edgar.
Inizialmente Judit indossa abiti bianchi sportivi e fanciulleschi, giudicati troppo provocanti dalla madre; pertanto vi è un cambio d’abito: Judit indossa ora una veste verde da donna adulta, cambia pure il look dei capelli – prima caratterizzato da treccine adolescenziali, ora raccolti – ma anziché adeguarsi alle esigenze formali di una sposa promessa dal padre a un anziano colonnello, il nuovo outfit segna la nascita del sentimento per Allan, che dunque viene finalmente ricambiato. Benedetta D’Amato si dimostra interprete ideale di Judit grazie all’espressività del suo viso sbarazzino e naturalmente disegnato che fuori dal palco non necessiterebbe di alcun make up; invece sulla scena l’attrice sfoggia un trucco non eccessivo, ma dai colori decisi: ciò da una parte ricorda al pubblico che è pur sempre la figlia della diavolessa Alice (e certa diabolicità si può rintracciare nell’iniziale indifferenza per i sentimenti di Allan, nonché nell’accettazione tutto sommato compiaciuta del matrimonio combinato deciso dal padre) e, dall’altra, enfatizza l’indole caratteriale del personaggio interpretato che è quello di una giovane donna che sta vivendo l’età di mezzo tra la gioventù e la piena maturità. Non meno intensa l’interpretazione di Lorenzo Pluchino che esalta la sofferenza per il sentimento inizialmente non ricambiato puntando sui toni shakespeariani del mal d’amore ed esplodendo in un pianto inconsolabile.
Alla fine l’amore tra Allan e Judit trionfa, rivelandosi persino decisivo per eliminare il malvagio Edgar e facendo esclamare ad Alice che pure dall’immondizia (la loro condizione esistenziale) possono nascere i fiori: una considerazione che, quasi nel ricordare De André – “dal letame nascono i fiori” – permette di comprendere come, nel completare il suo dramma tempo dopo aver composto il primo atto, August Strindberg abbia voluto concedere al pubblico la possibilità che esiste pur sempre una via di fuga: un futuro migliore per i figli. Dunque un motivo in più per plaudere alla scelta della Compagnia GoDoT di mettere in scena anche il secondo atto.
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Pinangela Rozza
Ancora una volta mi avete conquistato. Belle le scenografie, ammaliante la recitazione, non riuscivo a togliervi gli occhi di dosso. La guerra senza esclusione di colpi fra i protagonisti, mi ha fatto riflettere sui rapporti prigione di tante coppie, che smettono di amarsi o forse non si sono mai amati e diventano il carnefice l'uno dell'altro, prigionieri di una gabbia che si sono costruiti da soli, con le cose non dette, i sorrisi falsi e le comode bugie. Tutti voi come sempre eccezionali. Grazie, grazie, grazie, per quello che ci date ad ogni spettacolo. Non vedo l'ora di applaudirvi al prossimo lavoro.
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Giorgio Massari
Grazie alla compagnia Godot. Grazie perché con le sue scelte teatrali da respiro alle nostre anime. Si grazie perché mettere in scena, in modo magistrale , i grandi del pensiero del novecento da Kafka a Strindberg a Ibsen offre a noi cittadini degli anni venti del duemila strumenti culturali per navigare nel tempo presente, che è non tanto il tempo della post verità , ma delle molteplici verità dell' infocrazia. Grazie alla compagnia Godot perché sta in modo originale dentro le pieghe dei nostra città. Alla prossima.
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Emanuele Pluchino
Domenica scorsa ho assistito alla rappresentazione di "Danza macraba" messa in scena dalla mitica compagnia Godot che, per l'ennesima volta, ha centrato l'obiettivo: pur con un testo, non propriamente comico, è riuscita a galvanizzare e coinvolgere, anche psicologicamente, tenendo alta l'attenzione del pubblico presente sia per il testo sicuramente avvincente che per la strabiliante interpretazione degli attori. Grandi. Da non perdere.
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Paola Campo
Un autore dei primi del 900 Strindberg, attuale, realistico, ironico e terribilmente spietato, in questo gioco al massacro di una coppia come tante ed in cui ognuno di noi chi in minore parte, chi in maggior parte, potrà rispecchiarsi.
Una riflessione sul rapporto di coppia tormentato, ma che cela un sentimento fortissimo, indissolubile ma che ti distrugge, poi ti appaga, per poi distruggerti nuovamente...
Un' opera straordinaria con interpreti altrettanto straordinari
Danza Macabra interpretata dalla Compagnia Godot
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Maria Grazia Tavano
"Danza Macrabra (della Morte)" di A. Strindberg, dramma scritto nel 1900 in due atti, messo in scena dalla Compagnia GoDoT (RG).
Non è la prima volta che da spettatrice delle tante produzioni della Compagnia GoDoT conosco le opere classiche scelte da Vittorio Bonaccorso e Federica Bisegna, e seppur consapevole di assistere a un dramma, per me è stato inevitabile trovarci del comico durante la messa in scena.
In questo caso ognuno dei personaggi è frustrato, tormentato, vittima e carnefice, e incastrato in dinamiche e rapporti tossici, sembrerebbe quasi senza possibilità di risoluzione e/o vie di fuga.
La storia racconta del matrimonio infelice tra Edgar (V. Bonaccorso) e Alice (F. Bisegna), che ipocritamente ragionano sull’opportunità di festeggiare le loro nozze d’argento, mentre si trovano rinchiusi e isolati in un isola infernale abitando all’interno di una fortezza. Ognuno dei due riversa sull’altro la propria insoddisfazione.
Lei abbandona la carriera di attrice per volere del marito poiché da cliché questa era l’unica cosa da fare nel ruolo di moglie/mamma, lui non accetta e non ammette a se stesso di non essere adeguato a progredire nella carriera militare e divenire maggiore, e mentre emerge l’incompiutezza dei due coniugi arriva dal passato il cugino Kurt (Cristiano Marzio Penna) a rompere gli equilibri e a innescare la miccia che mancava per tirar fuori la verità da ognuno dei protagonisti della storia.
Mi è parso di essere una “mosca” che entra tra le mura domestiche di una qualsiasi coppia del nostro tempo e spia e vede cosa succede, dentro e fuori quelle mura, e si rende conto di quanto sia triste impostare la vita su desideri di vendetta, rivalsa, strumentalizzazione e atteggiamenti manipolatori nei confronti di chicchessia pur di appagare il proprio disagio intimo e interiore di non compiutezza e soddisfazione.
Eppure un dramma così carico di negatività, nasconde punte ironiche e comiche per le quali è inevitabile abbandonarsi a una risata spontanea, ma credo sia il frutto della glaciale verità che emerge durante i dialoghi dei protagonisti, perché di fatto non ci sarebbe nulla da ridere nell’ascoltare una moglie che augura al marito di morire il prima possibile a suo beneficio e libertà, eppure è questa la reazione, che sia su di me che sul pubblico presente, si è manifestata.
Nel secondo Atto, troviamo invece il proseguimento della tossicità di questa relazione coniugale trasferitasi su quei figli che adoperano gli stessi principi e valori offerti dai genitori e sembra quasi che la storia sia destinata solo a ripetersi all’infinito, senonché un barlume di speranza si insinua nel cuore dei due giovani Allan, figlio del cugino Kurt, anima semplice e pura che non coglie la realtà che lo circonda, tant’è che soffre nello spirito (Lorenzo Pluchino) e Judit, figlia diabolica e cattiva come la madre Alice e manipolatrice come il padre Edgar (Benedetta D’Amato). E’ nel finale che si nasconde la possibilità di spezzare la catena delirante del proseguimento di dinamiche che si tramandano da padre in figlio, uno spettacolo dai contenuti attualissimi, visto che a mio avviso, volge lo sguardo alla nostra attuale realtà odierna, ancora vittima della mancanza di strumenti adeguati per tirarsi fuori da tutto ciò, e vivere una vita appagante non agitata da sentimenti negativi e vendicativi.
Posso dire che mi sono divertita tantissimo e come sempre grazie alla Compagnia GoDoT per il suo lavoro. Complimenti a tutti gli attori in scena.
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Sebastiano D’Angelo
DANZA MACABRA, della Compagnia GODOT.
Stasera 23 febbraio ore 18 ultima replica.
È difficile trovare nuove parole di encomio e plauso per una straordinaria realtà artistica della Provincia.
Sono rimasto incollato al testo e alla eccellente vena interpretativa da parte di tutto il cast di attori e attrici.
Un testo classico, sicuramente poco rappresentato in Italia, scritto oltre un secolo fa ma sempre attuale sul tema dei mali di coppia.
Un lavoro che meriterebbe una maggiore diffusione e un seguito più generale, adeguato all'incontestabile bravura del gruppo, che ancora una volta riesce a sorprendere, incollando lo spettatore sulla sedia per più di due ore, in un ritmo serrato e senza pausa.
Bravi proprio tutti...
Voto Massimo
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Gino Carbonaro
Vittorio, Federica,
Ho appena assistito alla presentazione della Vs "Danza macabra" e desidero inviare una "informazione di ritorno" da parte di me spettatore. Caro Vittorio e cara Federica per la centesima volta sono rimasto incantato per quello che è l'amore strabocchevole che Voi tutti del Teatro GODOT avete per il Teatro, per questo lavoro nobile, splendido per i suoi contenuti, e per la potenza dei suoi messaggi: accuratezza, serietà, impegno smisurato che rendono possibili delle realizzazioni eccezionali. E dopo l'impegno serio per onestà intellettuale, vengono realizzati lavori di qualità superiore. Io ho assistito a spettacoli realizzati a Parigi, Padova, Verona che non sono riuscito ad apprezzare, mentre registro opere proposte dal Vostro gruppo che mi incantano. Questo per dire che l'area iblea, e fra questa il vostro gruppo, riesce a raggiungere eccezionali livelli di cultura teatrale. Nel caso specifico, la "Danza Macabra" è stata una stupenda opera teatrale dalla configurazione drammatica che ha dato la mano alla tragedia. Opera che è riuscita a scavare psicologicamente l'animo umano scivolando nel sociologico, con riflessi che hanno chiamato in causa la Filosofia del nostro esistere. E per finire, devo sottolineare che Voi tutti interpreti sulla scena siete stati eccezionali. E il voto per tutti (luci e fonica comprese) 110 e lode. Auguri e buona continuazione.
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Salvina Albo
Carissimi, dirvi bravi sarebbe molto riduttivo, siete semplicemente eccezionali! IL VOSTRO IMPEGNO E LA VOSTRA PASSIONE VI FANNO OTTENERE DEI RISULTATI UNICI. SONO ORGOGLIOSA PER VOI E PER QUELLO CHE DATE A RAGUSA. UN GRANDE ABBRACCIO E TANTI COMPLIMENTI.
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Cristiano Marzio Penna
Kurt, il ruolo più difficile da interpretare nei miei 8 anni di lavoro: Kurt è stato il più complesso, giacché con ogni personaggio in scena mostrava sfaccettature molto diverse (esattamente come è nella vita), e a questa complessa ambivalenza si è aggiunta la sua evoluzione nello scorrere del tempo scenico.
All'inizio non mi piacevi, caro Kurt: eri apparentemente scialbo, quasi noioso rispetto all'eccentrico Edgar, ma sapevo che alla fine ti avrei amato, sapevo che eri una grande sfida per me attore. Se non fosse stato per Vittorio forse non ti avrei mai conosciuto; e ringrazio Vittorio anche per aver creduto in me, per aver puntato su di me: quando lui e Federica mi proposero il ruolo da coprotagonista per uno classico di 2 ore e 15" io fui titubante sulle mie capacità mnemoniche ma Vittorio, con calma assoluta, rispose: "Io so che ce la farai, ne sono sicuro".
Grazie, dunque, Vittorio e Federica, per avermi dato piena fiducia, grazie per questa splendida opportunità.
Spero di poter rincontrare Kurt a breve e spero di poter lavorare ancora con la CompagniaGodot, capace di regalare emozioni non solo al pubblico ma anche agli attori.
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Paola Stella
Carissimi Federica Bisegna e Vittorio Bonaccorso , ancora una volta avete realizzato una magia vera e propria nella vostra, oserei dire "nostra", Maison GoDot, con quest'ultimo lavoro Danza macabra di August Strindberg. Parlo di magia perché dal primo momento, con l'ambiente che avete creato, i costumi, la musica e i vostri primi dialoghi, mi sono sentita subito catapultata in una torre svedese, nel bel mezzo di una ennesima (anche questo si capisce subito) discussione fra due coniugi, che convivono da ben venticinque anni.
La torre è un'antica prigione riadattata ad abitazione, e una squallida prigione rimane per questi due personaggi.
Siete stati bravissimi a sviscerare la dinamica relazionale di questi due coniugi. Dinamica complessa, difficile, composta da ricordi, aspettative, delusioni reciproche, profonde frustrazioni per ciò che si desiderava raggiungere e che non si è raggiunto, rimproveri, invettive, rivendicazioni, violente accuse a vicenda, tutti fattori che più che dividerli, separarli, allontanarli, li unisce paradossalmente in un gioco crudele ma, quasi, necessario per la loro stessa esistenza. Sembra che più riescono ad odiarsi e più possono continuare a vivere e ad alimentare "l'inferno" sulla Terra. Dicevo, siete stati così bravi a caratterizzare questi due personaggi che mi avete dato tanti spunti di riflessione sia dal punto di vista filosofico che psicologico sul senso della vita. Mi sono immedesimata ora nell'uno ora nell'altra, parteggiando ora per l'uno ora per l'altra, riuscendo a essere partecipe dei loro dolori, dei loro sentimenti, della loro vita.
E, ancora, siete stati così bravi da riuscire a farmi anche ridere, proprio della tragicità, della follia e dell'assurdità delle varie situazioni.
Sì, perché in realtà si tratta di situazioni presenti ancora oggi, in diverse famiglie, che a vederle rappresentate, come dire, invece di apparire tragiche risultano comiche, un po' come succede quando si assiste a una caduta di una persona. Per quanto ci si possa preoccupare del male che si è fatto, viene da ridere.
All'inizio parlavo di prigione, ecco, il termine prigione è riferito non solo alle condizioni fisiche del luogo, la torre si trova infatti in un'isola, ma anche come condizione psichica della mente umana. I due personaggi, infatti, sono prigionieri l'uno dell'altro e prigionieri di sé stessi, dei loro conflitti inestricabili. Solo la morte può rompere queste catene invisibili.
Tutti i vostri attori, che hanno interpretato gli altri personaggi, Cristiano Marzio Penna, Benedetta D'Amato , Lorenzo Pluchino , Rossella Colucci e Alessandra Lelii, sono stati eccellenti, ma, devo dire, un plauso e un ringraziamento particolari vanno a voi due, a te, Federica, straordinaria per l'adattamento della pièce, per i costumi e per l'incredibile recitazione, e a te, Vittorio, grandissimo regista e straordinario attore.
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Annalia Scifo
La cosa bella di "danza macabra", e di qualsiasi spettacolo che voi fate, è che tutti, conoscitori e non, rimangono affascinati e rapiti quando guardano. Non importa se "pesante" o leggero, sempre arte è, l'arte del popolo, che chiunque può capire.
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Mario Bentivegna
Complimenti di vero cuore per la piena riuscita di questo mirabile spettacolo, frutto della grande professionalità di questa storica compagnia che con coraggio, impegno e dedizione riesce a mettere in scena, con meritato successo, le opere del grande teatro classico.
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Alba Rosa Suriano
Cara Federica, grazie a te, a Vittorio, a tutti i membri della compagnia che sono sempre all'altezza delle sfide che vi ponete davanti! Anche questa volta siete riusciti a tenerci con lo sguardo incollato e con l'attenzione sempre alta. Non c'è stato mai un momento di stanchezza o di distrazione! Questo è l'incanto che solo il vero teatro riesce a realizzare... Tutti gli amici che mi hanno accompagnato ad assistere ai vostri spettacoli, sono sempre usciti dalla vostra Maison molto soddisfatti. Quindi, ancora una volta, grazie di cuore a voi tutti, nessuno escluso, e alla prossima rappresentazione!
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