Roberto Farruggio su "La cantatrice calva"
Roberto Farruggio su "La cantatrice calva":
Quando ero studente di scuola media, mi ero invaghito di materie scientifiche ed in particolar modo di tutto ciò che riguardasse i buchi neri. Ho rivissuto quella sensazione assistendo al terzo capitolo della saga di Ionesco messo in scena dalla Compagnia GoDoT domenica scorsa, dopo molteplici repliche, “La Cantatrice Calva”. Il buco nero ha un campo gravitazionale così intenso che dal suo interno non può uscir nulla, nemmeno la luce. Ora, io mi sono sentito presso la Maison Godot come all’interno di un buco nero, grazie anche alla esigua scenografia messa in campo da Vittorio Bonaccorso (a differenza dell’elegante salotto inglese dove pare si svolga la pièce scritta da Ionesco), se si eccettuano i pochi e colorati arredi di scena grazie ai quali lo stesso Vittorio, Federica Bisegna, Benedetta D'Amato, Rossella Coluccii, Lorenzo Pluchino e Alessio Barone hanno come al solito danzato, accompagnati dalle luci e dalla fonica sempre attente e mirabili di Mattia Zecchin.
Io non posso che essere ancora e sempre grato alla Compagnia Godot per assisterci in questo ormai cammino di dolore che da anni accompagna i nostri singoli giorni, almeno i miei. Non posso certo dimenticare Pirandello, Ionesco e altri grandi autori che hanno spesso costellato le lezioni di vita della loro missione teatrale. Perché è chiaro, benché lo scrivessi già 10 anni fa, il valore educativo che ha il Teatro di Federica e Vittorio e degli Attori della Compagnia. Ed è proprio questo valore a rendere meno doloroso il nostro cammino di vita. Nelle tante repliche cui abbiamo assistito in quasi un mese de “La Cantatrice Calva”, sono sicuro che le tante decine e decine di spettatori siano usciti dalla Maison Godot (che per tre settimane circa si è come connessa con il Teatro de la Huchette di Parigi dove l’opera di Ionesco va in scena da quasi 70 anni), con una nuova ricchezza dentro, da saper maneggiare bene e con cura però, perché pone ciascuno di noi di fronte a dei temi che per me stanno via via assumendo un’importanza decisiva, relativi a quel che il filosofo e psicologo tedesco Erich Fromm scriveva in “Avere o Essere?” e che per il sottoscritto si dipana poi nel suo saggio di politica sociale “Anatomia della distruttività umana”.
Non mi addentro certo in temi che sono ben lungi dal mio sapere ma se per Fromm, che partiva da studi e teorie sulla violenza distruttiva dell’uomo, gli istinti sadici umani e l’aggressività -come l’iperbolico disappunto manifestato dalla Sig.ra Smith per il titardo dei Martin- sono in realtà dettati da convenzioni storico-sociali, fatti politici e culturali, credo che il sadismo dei nostri tempi, insieme alla “dicotomica antitesi” tra egoismo e condivisione, possano benissimo estrinsecarsi nella vacuità dell’assurdo che viviamo oggi e probabilmente da tanti decenni a questa parte.
I sei personaggi de “La Cantarice Calva” in cerca di un autore che li riporti all’interno di una società reale si muovono e “dialogano” per me, grazie a una sempre sapiente regia, come automi senza alcuna relazione l’un con l’altro, in un buco nero dal quale non fuoriesce alcuna luce, intesa come esperienza, ricordo, relazione, vicissitudine che li stacchi dalla “macchietta” quasi comica che rappresentano sul palco, proiezione di una società vacua e quasi, se non del tutto, metafisica. Il sadismo e l’egoismo di oggi sono molto più perniciosi, se mi permettete di scriverlo, in quanto insiti, oltre purtroppo che nelle sempre attuali guerre, nei comportamenti che spesso teniamo nei confronti degli altri, avulsi da qualsiasi ragionevole relazione e incentrati sull’Io dominante, come se non ci fosse un domani o un altro Io con cui confrontarsi. Ingabbiati nei nostri abiti eleganti d’alta società -la borghesia inglese che la Bisegna ha saputo ben vestire con la scelta sempre puntigliosa e azzeccata dei costumi della mise en scène-, e spesso a caccia di altrettanti eleganti ristoranti dove nutrire la propria bramosia di apparire con gusto, anche a costo di soverchiare il nostro antagonista che non merita rispetto alcuno. Certissimi e altezzosi delle proprie certezze che non abbisognano di verifiche altrui e che spesso ci coinvolgono in presunte comunicazioni che sembrano tali per apparire, in fin dei conti, dei boriosi e ripetitivi monologhi privi di significato concreto e in cui si millantano, ahimè, onorifiche competenze che poi è difficile contraddire in quanto supportate da patine accademiche, sudiciumi vetusti della nostra presunta formazione frantumatasi dal tran tran quotidiano di un lavoro di alto prestigio sociale col quale acquisire l'agognato potere.
Ecco a voi il meraviglioso buco nero creato dalla Compagnia Godot sul palcoscenico della Maison da cui è davvero difficile pretendere che qualcosa fuoriesca dal suo abissale campo gravitazionale se non grazie a una presa di coscienza di quel che autori e compagnie teatrali (io qui, anche se non ne sono sicuro, coinvolgerei Bergman con la sua Trilogia del Silenzio, regista che mi appassionò tantissimo fin dal suo Settimo Sigillo e che raccontò, anche lui, la pesantezza di una incomunicabilità che, nel suo caso, si trasfigura in stato di fatto personale, individuale, che diventa poi collettivo), ci ammoniscono da tempo immemore, da millenni. Noi abbiamo la fortuna di avere “a portata di mano” una Compagnia così… che facciamo? Lasciamo che la Cantatrice Calva continui a pettinarsi sempre allo stesso modo?
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