Il prof Danilo Amione su "L'ultima ribalta"
Danilo Amione:
Attilio Vecchiatto fu un grande attore fuori dal suo paese, l'Italia. Almeno, così si narra. Forse verità, forse leggenda, ma non importa. Accompagnato dalla moglie Carlotta, Vecchiatto rientrò, ormai anziano, nel suo Paese negli anni '80 ma nessuno si accorse di lui. Perchè? Gianni Celati ce lo spiega attraverso un testo immensamente bello, messo in scena, in maniera a dir poco magistrale, da Vittorio Bonaccorso, anche straordinario interprete dello stesso Vecchiatto, accompagnato in scena da una intensa Federica Bisegna, nella parte della moglie Carlotta. Celati "approfitta" di Vecchiatto e dei suoi scritti per raccontarci di un mondo (l'Italia è solo una metafora di tutto e tutti) che non c'è più, che aveva conosciuto il valore dell'umano e dell'arte, in questo caso teatrale, ma che adesso si è perso dietro i falsi miti del consumo e dell'apparenza, con il denaro che è diventato puro spirito, valore assoluto di ogni avvenimento umano, elemento di discrimine per ogni storia della nostra realtà. Bonaccorso attraverso un sapiente mix di ironia e dramma ci regala uno spettacolo così potente e dirompente, fino alla commozione, che si colloca tra le migliori rappresentazioni di sempre della compagnia ragusana. Celati va oltre il dato dell'arte, e attraverso un parallelismo con le opere immortali di Shakespeare, da Re Lear ad Amleto e Macbeth, ci racconta della "vecchiaia" come condizione privilegiata per conoscere l'Uomo, la sua essenza, la sua verità ultima, quella che collima con la morte, vista come liberazione dal peso di ciò che non ci appartiene più e come momento di liberazione da ogni affanno (e il pensiero va dritto all'ultimo Bergman di "Vanità e affanni"). La regia è ridotta all'osso, affida tutto alla parola e ai pochi e stanchi gesti dell'attore Vecchiatto, che mette in scena se stesso, per l'ultima volta, in un piccolo teatro dell'Emilia-Romagna, Rio Saliceto, che diventa l'approdo di una esistenza spesa nel nome della verità, e che trova il suo ultimo anelito di vita dentro un teatrino vuoto , senza spettatori, destinato a scomparire perchè ormai fuori dalla logica della messinscena oggi dominante, quella del disvalore, mossa da mass-media in grado di creare soltanto inutili apparenti valori. Quello di Bonaccorso regista e interprete è un work in progress spietato e travolgente, che inchioda lo spettatore dinnanzi a verità assolute e travolgenti, che non risparmiano niente e nessuno. Attilio e Carlotta appaiono e scompaiono dalla scena come fantasmi di un tempo che fu, a bordo di un marchingegno a ruote che somiglia tanto agli strumenti ronconiani, così carichi di vita nonostante il loro essere macchine. Macchine innocenti per uomini innocenti. Quelli dell'ultima ribalta, delle ultime verità.
Alla fine applausi che non volevano finire.
Grande teatro in provincia, nell'estrema provincia d'Italia.
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