Note di regia
Freddo, fame, miseria, questi sono i problemi degli esseri umani.
(da Le avventure di Pinocchio)
Le avventure di Pinocchio di Collodi è uno dei romanzi più straordinari mai scritti. Parlo di romanzo perché questa storia, così famosa in tutto il mondo, a volte la si ricorda come una favola, ma è più di questo: è un romanzo di formazione a tutti gli effetti.
Pinocchio è una figura tanto complessa da riuscire ad incarnare in sé diverse metafore: sul cambiamento, sulla capacità dell’essere umano di affrontare qualsiasi ostacolo, sulla meraviglia della vita, sulla solitudine, sul diverso. In effetti è anche una ricerca sul senso dell’esistenza e sul suo continuo evolvere. Il burattino è come una crisalide non ancora intaccata dalle convenzioni umane, pura, candida, in attesa della vita; il bambino è una farfalla appena nata che si appresta a spiccare il volo in quel mondo fatto di regole. Un mondo che accetta Pinocchio soltanto quando egli riesce a mutar pelle, a diventare ciò che gli “altri” vogliono che sia. Ho sempre pensato alla trasformazione del burattino in bambino come una sorta di passaggio obbligato, di omologazione, una fuga da quella sana follia che, sola, ci permette di sognare, di inventare, di essere ciò che siamo nel profondo. E’ quello che ci succede quando da fanciulli entriamo all’improvviso nel mondo degli adulti.
Ma, allora, passare da burattino a bambino dovrebbe essere un male o, meglio, una perdita? No, perché il burattino ha già in sé tutte le caratteristiche del bambino e quest’ultimo – si spera – porterà con sé la parte più schietta del primo. Come sarà Pinocchio (umano) da adulto? Dimenticherà la sua vera essenza o ne celebrerà per sempre il prodigio? Mi piace pensare che diventerà almeno come il suo creatore, Geppetto: un uomo avanti con l’età ma con l’anima di un bimbo, capace di scorgere il fantastico là dove gli altri vedono soltanto un pezzo di legno da ardere. Una figura michelangiolesca quasi, che da un blocco informe ricava il suo David o il suo Mosè.
Per me, l’unico Pinocchio degno della grande fantasia di Collodi è stato e sarà sempre quello di Comencini. Tutte le versioni a venire non hanno neppure sfiorato la poesia di quella serie televisiva che fece epoca. Anche a teatro è difficile da mettere in scena, tanto che può essere proposto soltanto con grandi mezzi a disposizione o in forma di racconto.
Noi abbiamo unito le due cose: il teatro di narrazione e la messa in scena, cercando di sopperire alle lacune del nostro piccolo spazio ma avendo una grande risorsa, un Pinocchio dell’età e della bravura giuste per affrontare quest’impresa: il piccolo Marco Cappuzzello, che fa teatro con noi da quando aveva 5 anni.
Un sfida ardua ma avvincente non solo per lui ma anche per tutti gli altri allievi, grandi e piccini, dei nostri laboratori teatrali, i quali si cimentano con gli straordinari personaggi di un’opera immortale che ci accompagna in ogni fase della nostra vita e di cui conosciamo ogni particolare, ma che riscopriamo sempre nuova.
Vittorio Bonaccorso