Note di regia
Per omaggiare il 450° anniversario della nascita di William Shakespeare e il 100° anniversario dalla nascita di Charlot, ho voluto accostare due esperienze per me importanti: “Amleto, pantomima autoptica”, che ha ottenuto il premio per la massima originalità al Bellini di Palermo durante un Festival di Regia (e che poi ho sfruttato in una produzione della Compagnia G.o.D.o.T.) e “Malintesi Shakespeariani”, il risultato di uno Stage sulla Pantomima, che ho tenuto a Catania incentrato su Romeo e Giulietta e Otello. Due le scelte che mi hanno guidato in tutti e due i lavori: la pantomima e l’ironia. Nel primo lavoro, per quanto riguarda la pantomima posso dire che non si tratta della scelta di un genere. Per me, nel gesto si nasconde il vero senso del teatro, più che nella parola. Sembrerebbe una contraddizione, visto che – soprattutto per quanto riguarda Amleto – stiamo trattando i testi dei testi, essenzialmente di parola, e che parola! Non lo è, perché Shakespeare attua, soprattutto in Amleto, un’invenzione straordinaria: la trasformazione della parola in azione. E se la parola in Shakespeare è azione, per un fatto di transizione, tanto più lo è in un’opera dove la maggior parte delle battute sono del protagonista. Per quanto riguarda l’ironia credo, senza voler essere blasfemo, che Amleto per esempio non potrebbe che essere un creatore di farse, perché ciò che è profondamente tragico nasconde in sé qualcosa di totalmente comico, e viceversa: cosa c’è di più comico e, al tempo stesso, di più beffardo della messa in scena che gli attori fanno alla presenza di Claudio? Ho voluto puntare la mia attenzione sul travagliato rapporto di Amleto con la madre, personaggio apparentemente poco curato da Shakespeare ma che è il motore di tutta l’angoscia del figlio. Così, ho chiesto a Federica Bisegna, che interpreta Gertrude, di scrivere un prologo alla pantomima che spiegasse ciò che avviene dopo, facendo, al tempo stesso, un escursus ironico della storia. Ho prelevato un elemento fondamentale di questa tragedia, e cioè la finta messa in scena degli attori chiamati da Amleto di cui parlavo prima, e mi sono divertito a farla escogitare, capovolgendola, a Gertrude per fare rinsavire il figlio. Ho osato accostare piccole citazioni da Pirandello, che da Shakespeare ha preso molto, come la caduta da cavallo che appartiene ad Enrico IV. Trovo un parallelismo tra questi due personaggi: sia Amleto che Enrico IV si fingono pazzi. E nella finzione della pazzia c’è la ricerca della verità. Una ricerca finta nel caso di Amleto, perché egli la conosce già, ma vuole una conferma. Per me l’autopsia rappresenta questa ricerca, fuori e dentro se stessi. In realtà si tratta di due tipi di autopsia: una mentale, quella di Amleto che scava nella sua coscienza, e una fisica. Da questo nasce un contrasto ironico: se la verità vera è rappresentata dal fantasma del padre, e cioè da un’entità astratta, allora la verità finta starà nel suo corpo, che è quanto di più reale. A differenza di altri personaggi come Shylock de Il mercante di Venezia o Re Lear dell’omonima tragedia, per la figura di Amleto ho avuto sempre una sorta di timore reverenziale, così come credo debbano avere tutti, perché è una figura troppo alta, una sorta di sentimento religioso verso un’icona perfetta. Se Harold Bloom parla dell’opera di Shakespeare come dell’”invenzione dell’uomo”, questo vale ancora di più in Amleto, perché non è un personaggio da interpretare come tanti altri ma in “divenire”. Nel secondo lavoro, “Malintesi Shakespeariani” – che vede coinvolti i nostri allievi – ho puntato più sulla parodia, costruendo un parallelismo tra la storia di Romeo e Giulietta e quella di Otello, da cui prende il titolo tutto lo spettacolo. Anche qui Federica Bisegna ha creato un prologo ironico (affidato alla nostra Anita Pomario). In fondo, sia nell’una che nell’altra storia, tutto avviene per dei “malintesi”: in Romeo e Giulietta la protagonista crede morto il proprio amato; in Otello il protagonista crede fedifraga la propria amata. Su questo si innescano sollecitazioni umoristiche a catena. Il filo rosso che unisce le tre opere è ancora la “verità”: in Amleto e Otello nascosta dall’inganno; in Romeo e Giulietta nascosta dal fato. In tutti e tre i casi però è la morte dei protagonisti a dipanare la matassa. Una morte catartica che diventa monito per tutti quelli che restano.
Vittorio Bonaccorso