Info

Le sedie

di Eugene Ionesco

con

Vittorio Bonaccorso
Federica Bisegna
Vittorio Bonaccorso - Regia

Note di regia

di Eugene Ionesco
con Federica Bisegna e Vittorio Bonaccorso
Costumi Federica Bisegna
Scena e Regia Vittorio Bonaccorso

"La ragione è la follia del più forte; la ragione del meno forte è follia".
Sono partito da questa massima - quasi un epitaffio - dello stesso Eugène Ionesco per la messa in scena di un testo che risulta di un’attualità sconvolgente per il senso di alienazione che ne scaturisce. Noi (i meno forti) siamo così bombardati da pubblicità, notizie, immagini, tutte allo stesso modo importanti da non accorgerci che niente ha significato. Siamo circondati da "oratori muti" (i più forti) ma al tempo stesso petulanti, i quali si avvitano su se stessi pensando di essere portatori di "messaggi" fondamentali. Nell’atto unico Le sedie, metafora della condizione umana, si assiste ad un’invasione di oggetti-materia oscura che prevaricano l’universo dell’uomo, restringendolo e soffocandolo progressivamente. Una sorta di nulla che riempie la vita dei due protagonisti, così come nella nostra epoca ci sommerge un niente di cui, apparentemente, non possiamo fare a meno. Due sono i modi per liberarsi definitivamente da questo vuoto: il suicidio o la follia. Il primo è conseguente alla seconda durante la quale ci si rinchiude nella gabbia della propria esistenza, sperando che nel ripetere ossessivamente un’azione si possano avere risultati diversi ogni volta che la si compie. E questa gabbia, sorta di involucro sepolcrale, la riempiamo di fantasmi per popolare il nostro immaginario. Per tale prigione, che ho ricavato dalle sedie stesse e nella quale i due vecchi rimangono vincolati, mi sono servito di un disegno scenico quanto più ordinato possibile. Di solito si rappresentano tali oggetti come vecchi e di vario tipo: "Sono sedie della casa, appartengono al padrone, vorrebbe che gliele comprassimo, ma è roba che non val quattro soldi", io invece avevo bisogno di giocare con il contrasto, così come Ionesco gioca con l’assenza-presenza. Ho immaginato di far scaturire tutta l’angoscia dei due personaggi da una sorta di ordine malato, un contrappunto al loro bizzarro dialogare. Come se alla fine della loro esistenza volessero invano mettere a posto i pensieri, ragionare sull’irragionevole. Così ho sfruttato la combinazione vettoriale del piano cartesiano: orizzontale, verticale, obliquo. Le prime due linee sono presenti rispettivamente nella seduta e nella spalliera delle sedie, la terza è presente nelle finestre e nella porta centrale. Quella orizzontale per me rappresenta il luogo, il reale, lo spazio, ciò che possiamo toccare e che ci da sicurezza; la verticale rappresenta il pensiero, le aspirazioni, l’irreale che invade la vita quando la vita non è più tale; quella obliqua rappresenta l’inevitabile, ciò che non si vorrebbe ma che, purtroppo, accade. Nel rapporto dialogico, apparentemente folle, dei due vegliardi traspaiono lampi di lucidità, come pennellate di colori diversi. Dico apparentemente folle perchè più leggo quest’opera più ci ritrovo rispecchiata la nostra routine di poveri "marescialli d’alloggio". Di questo testo non mi interessano le "assenze" o le "attese" varie (dio, Godot o chi per loro) ma, per paradosso, mi interessa la "presenza" dello Spirito dell’Uomo che, anche nella sconfitta "Nel gran vuoto nero nero", anche prima del gesto estremo, trova la forza di sperare che qualcosa, ancora e nonostante tutto, possa cambiare. Purtroppo "Bisogna fare tutto il proprio dovere", la delega è ormai firmata e alla fine il tanto atteso oratore, sorta di insetto kafkiano, tesserà ancora il suo ordito di fili invisibili dove imbrigliare nuove ed ignare prede.Vittorio Bonaccorso

Galleria