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Le nuvole

di Aristofane

Note di regia

“Dio è morto e il nostro mare è di nuovo aperto, forse non ci fu mai un mare così aperto.”

(F. Nietzsche) 


Con questa metafora Nietzsche, ne La gaia scienza e in Così parlò Zarathustra, vuole sottolineare la decadenza del mondo occidentale, e se ne La nascita della tragedia attacca duramente Socrate, in seguito lo indicherà come il prototipo del razionalista e perciò dell’ottimista, secondo cui i mali  che appartengono al “migliore dei mondi possibili” possono essere resi innocui dalla conoscenza e  
dalla saggezza. Ma il saggio può rendersi ridicolo se quest’ultima non è grande come egli pensa;  però la sua saggezza può essere sufficientemente grande da diventare causa di “invidia”. Come affermava Leo Strauss, lungi dall’essere un nemico di Socrate, Aristofane era più che altro invidioso della sua saggezza, e anche del disprezzo di Socrate nei confronti di quel plauso popolare  da cui il poeta drammatico invece necessariamente dipendeva; invidioso della perfetta libertà del  grande filosofo (persino dagli dei). In realtà Socrate era alla ricerca di una religiosità più profonda, capace di risposte agli interrogativi esistenziali e che potesse arrivare al cuore degli uomini. In qualche modo anche per il conservatore commediografo Dio era morto, e le nuove filosofie  come quella di Socrate lo infastidivano, perché temeva conducessero ad un sovvertimento dei  valori della società. 
Al centro della commedia Le nuvole c’è Strepsiade un padre che, non sapendo come arginare le  folli spese del figlio Fidippide ed educarlo alla virtù, cerca un modo per evadere i suoi debiti. A fare  da contraltare la figura di Socrate, descritto da Aristofane come un filosofo da quattro soldi i cui  unici obiettivi sembrano essere risolvere problemi futili, allevando una società di cittadini che  riesce a ribaltare le situazioni, anche le più scabrose ed ingiuste, con la sola arte della parola, e a  cui Strepsiade si rivolge affinché istruisca il figlio al fine di non pagare i creditori.  
In questa commedia Aristofane fa sì che Socrate disconosca Zeus ma facendogli indicare le nuvole  quali novelle divinità. Esseri soprannaturali, le nuvole possono diventare qualsiasi cosa vogliano  assumendo ogni forma desiderino, e imitando le cose che vedono ne rivelano la natura:  ridicolizzando uomini ridicoli, per esempio, esagerandone la forma (come si fa con le caricature).  In breve, le nuvole sono assurte da Aristofane a dee (Muse) dell’imitazione e perciò ad insegnanti  naturali di tutte le arti imitative o produttrici di somiglianze, in particolare dell’arte del discorso  (della commedia).  
Dopo la messa in scena di Pluto, ultima opera di Aristofane, che abbiamo prodotto per la stagione  di Palchi Diversi Estate al Castello di Donnafugata 2019, ci confrontiamo adesso con la commedia  “più saggia” di Aristofane che, al di là delle sue posizioni più o meno reazionarie, sottolinea due lati  della stessa medaglia per affrontare il tema del mutamento della società e alcune delle questioni  più rilevanti legate al mondo greco del V secolo (e di tutti i tempi): la famiglia e la città, la natura e  la convenzione, il piacere e la giustizia, l’antico e il nuovo. 
Per fare ciò, Aristofane usa come intermediario la filosofia socratica e cavalca l’onda del solo  aspetto negativo che ai tempi se ne coglieva: la si bollava di ateismo ed empietà e si vedeva nei  dubbi che tale ricerca instillava la causa della dilagante corruzione morale, tra i giovani  soprattutto. Questo non gioverà al filosofo che non potrà allontanare da sé l’amaro calice di  cicuta.  
Il progetto di satira attuato da Aristofane in questa commedia è straordinario per la modernità, la  verve comica e l’arguta, quanto pungente, denuncia nei confronti dei “vizi” che diventano “virtù” e  viceversa; meccanismo ripreso magistralmente da Brecht ne “I 7 vizi capitali” e che riscontriamo  ancora oggi nella nostra ipocrita e malata società. 
Vittorio Bonaccorso
 

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