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Ubu Re

di Alfred Jarry
Commedia
Maison GoDoT

Note di regia

“Non tutto nella creazione è umanamente bello […] il brutto vi esiste accanto al bello, il deforme accanto al grazioso, il grottesco sul rovescio del sublime, il male con il bene, l’ombra con la luce.”
(dal saggio “Sul grottesco” di Victor Hugo)

Dopo aver affrontato Beckett, Ionesco, Perec, Valentin, Pessoa ed altri autori che si rifanno all’assurdo, non potevamo non dedicarci a Jarry, antesignano di un modo di intendere l’arte che ha influenzato non poco gli ultimi due secoli.
Tanti sono i punti d’incontro tra i vari appuntamenti di questa 20^ stagione di Palchi Diversi: l’assurdo, il surreale, il grottesco. Tutti termini che hanno forgiato quella meravigliosa stagione che va dalla fine dell’800 a tutto il primo ‘900. Un periodo in cui cominciano a delinearsi le avanguardie nelle arti figurative, nella letteratura, nel teatro. Termini, che avranno un’influenza fino ad arrivare ai giorni nostri, duttili, malleabili che ben si adattano a tante declinazioni. Il big bang da cui certamente nacque il filone artistico che ingloba queste tre parole fu l’invenzione straordinaria di Alfred Jarry: la Patafisica. Essa deriva dal greco "epi meta ta physiká", che significa "ciò che è al di sopra/accanto alla metafisica", indicando che la patafisica va oltre i limiti della metafisica tradizionale (spiegata dallo stesso Alfred Jarry nel libro “Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico”). La scienza dell'immaginario, che si occupa di ciò che trascende la realtà, come le eccezioni e i casi particolari. Perché questa invenzione? Semplice, perché gli uomini non risolvono i problemi, anzi ne creano sempre di più, senza trovare soluzioni efficaci. È un approccio che accoglie l’assurdo, il nonsenso e le contraddizioni come parte integrante dell’esperienza umana. Non più distinzioni rigide tra ciò che è serio e ciò che non lo è, ma un abbraccio di tutte le possibilità. Perché, in fondo, non è l’assurdo che rende la vita così interessante? Padre Ubu, la maschera inventata da Jarry, in effetti visse veramente: egli prese spunto da un suo professore di fisica, un certo Felix Fréderic Herbert, a cui gli allievi avevano già appioppato alcuni nomignoli: ébé o ebouille (ebete), da cui Ubu. L’autore utilizza la figura di Ubu per creare una satira del potere e delle convenzioni sociali. Ubu è un personaggio meschino e tirannico.

La sua insaziabile brama di controllo e il suo comportamento irrazionale incarnano l’assurdità delle strutture di potere, suggerendo che la vera natura di quest’ultimo è spesso ridicola e priva di logica. Un dramma dominato sì dall’assurdo e dal surreale, ma con ascendenze shakespeariane (la storia ricalca parodisticamente il Macbeth) e dei classici greci (in alcuni punti riconosciamo I Persiani di Eschilo). Ma la vera chiave di lettura di Ubu re è il “grottesco”, strumento d’indagine della realtà multiforme ed imperfetta che Jarry porta all’esasperazione, deformando ogni aspetto del testo: fa a pezzi le convenzioni teatrali (che il pubblico di allora considerava intoccabili), disarticolando il linguaggio, maltrattando l’ortografia, parodiando celebri drammi, e restando indifferente al problema della verosimiglianza e dell’approfondimento psicologico dei personaggi. Anche nella costruzione della struttura compie provocazioni mai viste, infatti i dialoghi e le scene subiscono interruzioni improvvise e subiscono l’inserimento di elementi incongrui. Portando sempre con sé rimandi alla realtà, il grottesco fa riflettere gli spettatori sulla propria condotta morale, perché nella figura di Ubu sono presenti allusioni agli istinti umani più comuni. Grande lettore di Rabelais, Jarry costruisce il “mostro” Ubu sulle figure dei giganti Gargantua e Pantagruel, eliminando però qualsiasi parvenza di umano. Costruisce un “fantoccio” disgustoso a forma di pera, con un grosso ventre (la gidouille), simbolo precursore di tutti i tiranni che hanno infestato l’età moderna, e che ancora compiono scempi torturando, uccidendo e “sterminando” intere popolazioni. Un testo geniale, esilarante ma, al tempo stesso, destabilizzante, perché ci fa riflettere sulla nostra condizione di esseri imperfetti.                                                                              

Vittorio Bonaccorso