Note di regia
“Amici, credo che sia meglio per me cominciare a tirar giù la valigia...”
(incipit da “Congedo di un viaggiatore cerimonioso” di G. Caproni)
Il tempo è una convenzione e ha una sola direzione. Ma, come ci ha fatto intuire Einstein, tutto ciò è relativo. Proprio in questi giorni (strani giorni), tramite uno dei telescopi più potenti mai costruiti, si è riusciti a fotografare un buco nero nel cui “orizzonte degli eventi”, ipotizzava il buon vecchio Albert, il tempo viene deformato, fermato, dilatato e/o contratto. L’unica maniera per noi di imitare ciò è data dai libri, dal cinema, dal teatro, tramite essi siamo in grado di portare avanti e indietro le lancette dell’orologio a nostro piacimento e possiamo far convivere storie che non hanno nessun punto di contatto tra loro. Abbiamo pensato di fare così con alcuni dei bellissimi racconti usciti dalla penna di Maria Greco, scrittrice catanese che ha tradotto per noi l’Edipo re di Sofocle nella scorsa stagione, come “Il signor F. è morto in treno” che dà il titolo al suo libro, dove sono contenute anche altre storie che abbiamo scelto per lo spettacolo: “Il calzolaio lettore”, “Alcesti”, “Ipocondria” e “Ravanello”. C’è, nella scrittura della Greco, una grande capacità di trattare temi fondamentali, quali la vita e la morte, i rapporti sociali o l’indifferenza, con ironia e leggerezza riuscendo a sdrammatizzare – senza mai cadere nella parodia – perfino il mito. Leggendo queste storie mi è venuta subito in mente la poesia di Caproni “Congedo del viaggiatore cerimonioso”. Il treno è da sempre lo stereotipo di ciò che passa, del viaggio, dell’incontro; i vagoni possono essere metafora delle nostre case, dei nostri uffici. Dal finestrino di un treno, mercé la velocità, non sempre siamo in grado di distinguere bene il paesaggio se non a tratti; tutto si confonde e prende uno stesso colore: il grigio, quale risultato della miscela dei pigmenti e non il bianco, quale risultato dello spettro dell’iride (che volete farci? Le metafore scientifiche sono troppo attraenti per me). Intanto il treno corre e solo quando sosta riusciamo a capire dove siamo (chi siamo). Dunque il treno come metafora della nostra vita: convulsa, caotica, piena di incontri, di solitudini, di paure, di gioie e di dolori. Per costruire la messa in scena mi sono con(centrato) sull’elemento base che può rappresentare il tempo: la ruota (il cerchio), una forma che non ha inizio né fine, e su di essa ho strutturato uno spettacolo “sopra” le righe (i binari del treno) e pieno di contrasti (uno per tutti le scelte musicali) che esaltano – spero – un copione con tanti rimandi: da Pirandello ad Ibsen, da Pinter al teatro dell'assurdo.
Vittorio Bonaccorso