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L'avaro

di Jean-Baptiste Molière Poquelin

con

Federica Bisegna
Vittorio Bonaccorso
e gli attori della compagnia

Note di regia

 “Niente basta a quell'uomo per il quale ciò che basta sembra poco.”
(Epicuro)

 

I più importanti protagonisti delle opere di Jean Baptiste Poqueline alias Molière, hanno in comune il fatto di vivere in un mondo tutto loro, ossessionati ognuno da un diverso tarlo: la malattia per Argante ne Il malato immaginario, la misantropia per Alceste ne Il misantropo, la voglia di nobiltà per Jourdain ne Il borghese gentiluomo (opera che mettemmo in scena diversi anni fa), l’avarizia per Arpagone ne L’avaro. Essi portano alle estreme conseguenze il loro “mal di vivere”, come dei bambini che cercano a tutti i costi l’attenzione degli adulti, e non si può non sentire un pizzico di tenerezza nei loro confronti: prima perché bambini (sognatori quasi), poi perché perdenti. La messa in scena segue la struttura dell'opera, ma solo per la successione delle scene: attorno al protagonista – un coriaceo, quanto furbo, Pantalone circondato da chi crede di farsi beffa di lui – ho cercato di esaltare i caratteri dei personaggi, senza usufruire di sovrastrutture sceniche. Infatti, ho pensato di eliminare anche le quinte, proprio come si fa a volte nella Commedia dell’Arte, lasciando gli attori a vista anche quando non sono in scena, diventando essi stessi spettatori. L’avaro è uno di quei titoli che anche il più incallito avversatore del teatro conosce. Testo quanto mai divertente ma anche attuale per la critica a quei disvalori sempre presenti nelle società di tutti i tempi: l’avarizia in primis, l’opportunismo, l’avidità. L’altra faccia della stessa medaglia è rappresentata da Cleante (figlio di Arpagone), il quale dilapida tutto il suo patrimonio nel gioco e nelle cose futili. Dante colloca gli avari e i prodighi nello stesso girone, in quanto il loro vizio ha il medesimo movente nell'immoderata brama delle ricchezze, che gli uni accumulano per il piacere del possesso e gli altri per profonderle irragionevolmente. Una specie di contrappasso tra vecchie e nuove generazioni, al centro del quale l’autore colloca il sentimento più forte: l’amore; quello di Cleante per Mariana (della quale è invaghito anche Arpagone), quello di Valerio per Elisa (altra figlia di Arpagone). A questi, Molière contrappone il suo essere “politicamente scorretto” ante litteram, con disincantata lucidità e senza mai cadere in nessuna tentazione catartica.

 

Vittorio Bonaccorso

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