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Operette morali

di Giacomo Leopardi

con

Federica Bisegna
Alessandra Lelii
Alessio Barone
Lorenzo Pluchino
Benedetta D'Amato
Vittorio Bonaccorso - Regia
Federica Bisegna - Costumi
Mattia Zecchin - luci e fonica

Note di regia

“Dicono i poeti che la disperazione ha sempre nella bocca un sorriso”

(G. Leopardi)

La modernità e il valore assoluto delle Operette sono un traguardo raggiunto postumo dal Poeta, in un’opera a cui affidava le proprie convinzioni morali e alle quali, credeva, avrebbero aderito i suoi contemporanei, disorientati invece da questi “scherzi in argomento grave”. Le intenzioni comico–satiriche di Leopardi risalgono ad un periodo antecedente alla prima stesura delle Operette: nei Disegni letterari, in cui progettava di scrivere alcuni “Dialoghi satirici alla maniera di Luciano, ma tolti i personaggi e il ridicolo dai costumi presenti o moderni”. Convinto che la comicità rivolta a questioni “serie” possa sovvertire le sorti di una società in declino più della passione, dell’immaginazione, dell’eloquenza e persino della ragione, Leopardi si prefigge un progetto ambiziosissimo: la ricerca della filosofia e della letteratura come strumenti per condannare gli errori (satira) e per rivelare debolezze e piccole fragilità dell’umanità (comicità). Leopardi, trovando in Luciano, e in genere nei greci e nei latini, il più classico esempio di impiego della mitologia come favola e non “come forma attuale del soprannaturale… [Sangiorgi]”, con le Operette vuole sceneggiare “piccole commedie” per dare all’Italia “un saggio del suo vero linguaggio comico” che si distaccasse da quel filone parodico che egli considerava puzzasse “tanto di sepolcro e d’oblio”. Così come affermato nello Zibaldone dallo stesso Leopardi, il carattere sostanzioso e solido del ridicolo che avevano gli antichi greci e romani, in contrapposizione con il “giucolino di parole” di quello dei moderni, è il modello a cui tendere per quella che per lui è una ricerca stilistica alta per parlare in termini filosofici assoluti, lontani da trappole di un’esposizione sentimentale di sé. Ogni Operetta ha un tono differente passando da un testo lungo ad uno breve; da uno narrativo ad un altro mitologico; determinando una pluralità di toni che per i suoi detrattori ne avrebbero inficiato la riuscita artistica. Al contrario, le Operette – così come tutta la Poesia e la Prosa di Leopardi – proprio per la variazione di ritmo “risuona nell’animo del lettore come una musica [Montani]” qualificandosi nei colori, come una sorta di “Suites linguistico-musicali [Bigi]” le quali seguono un andamento melodico lirico che tocca tutte le possibili tonalità. Di questo immenso spartito – operando alcuni tagli per ragioni di messa in scena – utilizziamo ciò che per noi può trasfondersi più facilmente in immagine e in azione come nei Dialoghi tra la Moda e la Morte, tra un Folletto e uno Gnomo, tra Malambruno e Farfarello, tra la Natura e un’Anima, tra la Terra e la Luna, tra la Natura e un Islandese, tra Federico Ruysch e le sue Mummie, tra il Venditore di Almanacchi e un Passeggere, cercando di cogliere, attraverso la metafora e, perché no?, la parodia (sillo), la straordinaria teatralità di un’Opera che riesce a parlare incondizionatamente ai lettori di ogni epoca.   

Vittorio Bonaccorso

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