Note di regia
Da quando esiste, il teatro è da sempre alla ricerca di linguaggi nuovi, di nuove forme espressive. Nel corso degli ultimi anni, facendo il verso alla sperimentazione o all’avanguardia e prendendone, al tempo stesso, le dovute distanze, queste “novità” si sono andate via via affermando, grazie anche all’abilità e all’intelligenza teatrale di una nuova generazione di animali da palcoscenico, che risponde appunto al nome di autori-attori.
Come a dire: se fra i milioni di testi che il teatro è riuscito a sfornare nella sua storia vecchia di venticinque secoli non riesco a trovare quello che mi soddisfa e mi realizza, voglio provare a confezionarmene uno tutto da me e solo per me. E’ il caso di Paolo Rossi, di Lella Costa, di Paolo e Lucia Poli, di Stefano Benni, di Davide Riondino, di Joele Dix, di Giobbe Covatta e di tanti altri, tutti molto bravi e giustamente affermati.
Ed è anche il caso di Alessandro Bergonzoni. Ma qui il discorso è diverso. Alla bravura, infatti, di confezionarsi addosso un copione che rispetti i dogmi della forma e del contenuto e che, nel contempo, assicuri il successo anche per le sue implicazioni culturali, si aggiunge ora una sapienza inusitata, fatta di TUTTO e di NULLA, che invita lo spettatore a salire su un treno per un viaggio fantastico attraverso il mai abbastanza esplorato continente della parola. Un viaggio nel quale è portato a perdersi – per poi, fortunatamente, subito ritrovarsi! – sulle accidentate piste degli esercizi verbali, dei giochi strabilianti dei saltimbanchi del linguaggio, dei voli senza rete tra sinonimi veri e inventati, tra assonanze, verbi, attributi e avverbi scritturati per essere al servizio esclusivo dell’autore e per “significare” quindi solo ciò che egli vuole. Da qui i calembours, i raffinati giochi di parole, le improvvise deviazioni che volutamente non consentono di giungere alle logiche conclusioni, imprevisti spiazzamenti che mettono a dura prova il senso comune dello spettatore ma che, appena decodificati, lo inducono al puro divertimento, alla risata schietta, priva delle implicazioni farsesche legate agli accadimenti di norma previsti in copione, e alimentata da un humus colto, che riscatta a posteriori l’apparente futilità dell’incalzante argomentare. Questo spettacolo, che nasce appunto come collage di alcuni dei più noti testi di Bergonzoni, vuol dare allo spettatore il brivido – come si diceva – di un volo cieco, di un salto nell’immenso buio della parola, del non-sense, quasi con la consapevolezza, e lo stupore insieme, di trovarsi davanti all’ignoto. Lo scarico della tensione, dovuto all’impegno di seguire l’arzigogolo per non perderne le tracce e smarrirsi, gli farà assaporare il gusto di una proposta teatrale fatta per indurre alla riflessione (forse) e, perché no?, all’esercizio intellettuale, ma che non manca di divertire… Il che non guasta!