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Ziq è sulla spiaggia

di Lina Maria Ugolini

con

Giuseppe Arezzi
Federica Bisegna
Vittorio Bonaccorso

Note di regia

 «Se avessi un filo il mio cappello sarebbe un aquilone, perché una cosa può diventare un’altra cosa se si guarda con gli occhiali d’argento...»

Ziq è sulla spiaggia. È questa l’unica certezza consegnata alla scena. È un ragazzo siriano che porta ombrelli da pioggia sotto il sole, cerca di venderli alla gente nella vacanza di un’ estate italiana. Aziq parla da solo, parla con Ziq... per farsi compagnia. Si muove in uno spazio segnato da incontri all’apparenza voluti dal caso, evocati con parole che formano immagini: l’uomo con la torre di cappelli, il venditore di cocco, il vecchio cieco con le piume di pavone, il gigante dei tappeti. Ziq parla con ciascuno di loro, seguendo con i propri ombrelli una partitura di gesti correlati al senso della solitudine e al bisogno di amicizia.  Ritorna a volte con la mente al passato, a schegge di una vita trascorsa ad Hama, in Siria, la città delle norie, le grandi ruote idrauliche che girando raccolgono l’acqua del fiume Oronte per portarla nelle case e abbeverare la terra. Un passato felice e di pace trascorso tra i campi, quando aveva ancora una famiglia, una madre e un padre speciale: Isar, il Grande Inventore. Le sue parole si ripetono ancora sulle labbra di Ziq, nel monito costante di una carezza: «osserva figlio mio, osserva in libertà per conoscere il mondo che potrai inventare.» È una voce che risuona con il riverbero di un eco, ricorda al figlio la capacità straordinaria dell’immaginare, del trasformare le cose più comuni per trovare con esse un modo d’affrontare le ferite della vita. C’è la guerra nel destino di Aziq, la morte, la separazione dai propri affetti, l’abuso ricevuto dall’uomo con i denti larghi, la fuga in treno per raggiungere il porto di Tartus e il mare in cerca di un barcone. Tutto sulla scena ruota attorno a Ziq e ai suoi ombrelli per dare forma al cerchio, segno distintivo di questo dramma sul quale la Regia orchestra il gioco proteiforme di tre attori sospeso da pause affidate alla poesia e alla musica:

Girano le ruote
come girano gli ombrelli
se qualcuno li fa girare.
Girano tutte le cose rotonde:
inventano cerchi nell’aria
anelli di un circo fantastico
senza inizio nè fine.

Le parole di Aziq schiudono il confine tra il vero e il possibile, restano in equilibro sopra il filo del Funambolo, deux ex machina di questa tragedia vestita di fiaba. La spiaggia di Ziq assurge a simbolo universale di salvezza. È la terra ferma ma soprattutto il miraggio agognato da ogni esule che prende il mare.

Lina Maria Ugolini