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Saper vivere: manuale d'uso

di Federica Bisegna
da Jean-Luc Lagarce

con

Federica Bisegna
Vittorio Bonaccorso
Giuseppe Arezzi
Alessio Barone
Emma Bracchitta
Rossella Colucci
Benedetta D'Amato
Alessandra Lelii
Lorenzo Pluchino
Mattia Zecchin
Claudia Campo
Alfredo Gurrieri
Andrea Lauretta
Francesca Lelii
Angelo Lo Destro
Riccardo Massari
Anna Pacini
Althea Ruta
Rita Scrofani
Maria Grazia Tavano
Leonardo Cilia
Amelia Gurrieri
Sara Mirabella
Anna Nobile
Matilda Selvaggio
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Regia - Vittorio Bonaccorso
Adattamento e costumi - Federica Bisegna
Al pianoforte - Alessio Barone
Maison GoDoT
75′

Note di regia

“Possiamo conversare tutta una vita senza far altro che ripetere all’infinito il vuoto di un minuto.”
(Marcel Proust)


Questo testo, scritto nel 1993, due anni prima della morte dell’autore, ha la sagacia e la pungente ironia di Molière e la profondità unita alla capacità di scavare nell’animo umano di Shakespeare. Non a caso J. L. Lagarce è l’autore più rappresentato in Francia dopo questi due immensi colossi. Ci siamo innamorati di questo lungo monologo che Federica Bisegna ha saputo adattare perché potessimo trasformarlo in uno spettacolo corale, pieno di musica, di pantomime e scene strampalate e molto divertenti. E’ un testo che mi riporta già dal titolo a “Vita, istruzioni per l’uso” del grande G. Perec (di cui abbiamo messo in scena L’aumento e che mi piace citare nell’anno in cui si ricordano i 100 anni dalla nascita di Calvino, uno dei membri fondatori della OuLiPo (acronimo dal francese Ouvroir de Littérature Potentielle, ovvero "officina di letteratura potenziale"). Due stili diversi che hanno però in comune la voglia di passare al microscopio la società umana, con le sue regole, i suoi vizi e la sua meccanicità nel riprodurre all’infinito modalità stereotipate riguardanti la nascita, l’innamoramento, le relazioni sociali, il matrimonio, la vita in famiglia, la morte. Se da un lato ci siamo divertiti, divertendo, a costruire situazioni surreali, circensi quasi, dall’altro non nascondiamo l’angoscia di fronte alla ripetitività delle azioni umane che l’autore ci obbliga a considerare (così come Beckett fa in Finale di partita). Una scrittura geniale ma, al tempo stesso, limpida, asciutta, senza fronzoli o escamotage per costruire la gag, semplice (nell’accezione più alta del termine). Lo spettacolo si può definire una specie di “mode d'emploi” che, attraverso la lente di ingrandimento della comicità, mette in luce tutte le convenzioni delle quali non possiamo fare a meno, perché parte di un sistema che è il solo baluardo contro la caducità della nostra esistenza.

Vittorio Bonaccorso