Info

L'ultima ribalta: recita dell'attore Vecchiatto

di Gianni Celati

con

Federica Bisegna
Vittorio Bonaccorso
Maison GoDoT

Note di regia

 

"Non so chi sia Godot. Soprattutto non so neanche se esiste. E non so neppure se quei due che l’aspettano ci credono o no.

 

(S. Beckett, lettera a M. Polac)


Replicato con successo durante la scorsa stagione, riproponiamo lo spettacolo incentrato sulla figura di uno dei più grandi attori del passato ormai dimenticati: Attilio Vecchiatto, che fu amico di grandi attori come Lawrence Olivier e recitò nei più importanti teatri del mondo. Una figura dalla vita avventurosa e fuori dal comune, riemersa dalla nebbia della storia grazie allo scrittore Gianni Celati, il quale ha trovato il quaderno dei suoi appunti dove egli scriveva idee sull’arte e sul mondo  attraverso dei sonetti, pubblicati insieme al testo.

Con la moglie Carlotta, anche lei attrice di lungo corso, si ritrova in un piccolo borgo della sperduta provincia emiliana per fare il suo (ultimo?) spettacolo. Ma giunto a teatro, dopo un rocambolesco arrivo, si accorge che la platea è vuota. Una situazione che mi ha subito riportato al teatro dell’assurdo, un misto tra Aspettando Godot di Beckett, Le sedie e Il re muore di Ionesco. I due, infatti, non vanno via ma restano sul palco, perché all’improvviso una signora è arrivata, per caso forse, ma poi si addormenta e alla fine va via; alcuni giovani si sistemano in fondo alla sala, ma solo per chiacchierare e sghignazzare, poi spariscono anche loro. In realtà i due attori sono davvero soli e dialogano tra di loro con un pubblico che non c’è, proprio come i due vecchi coniugi ne Le sedie parlano agli invitati trasparenti. “Attendono” e intanto ragionano sulla loro condizione, proprio come Vladimiro ed Estragone in Aspettando Godot. 

Per chi, come noi, vive per l’arte e non “dell’arte”, questo testo rappresenta una sorta di apologo che ci fa riflettere sul senso di fare quello che facciamo. Ecco perché, pur non essendo alla fine della nostra carriera, tocca il nostro animo e fa vibrare le nostre più intime corde. Vecchiatto, come Re lear, si ritrova in una landa desolata e non sa se è lui ad essere “folle” o il presente che lo circonda, un tempo barbaro e privo di punti di riferimento che non siano i beceri mezzi di informazione (giornali e tv). Un testo malinconico e poetico, intriso di un’ironia amara e tagliente come può essere, spesso, amaro e tagliente il mondo del palcoscenico, con i suoi imperativi e le sue contraddizioni. Una cosa è certa: la fortuna che si ha nel fare teatro. Perché, a volte, il peso del tempo presente diventa insopportabile e l’unico modo di sfuggire alla sua banalità è quello di immergersi totalmente nell’arte, a costo di ritrovarsi un giorno come Vecchiatto, a dover mettere sulla bilancia ciò che si è stati e ciò che si è, nell’attesa di essere inghiottiti dall’oblio, nostro malgrado, proprio come Berenger ne Il re muore.                      

Vittorio Bonaccorso

Galleria

Trailer/Intervista